16/11/2025, 10.27
ECCLESIA IN ASIA
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'Noi pellegrini giapponesi, Roma e i poveri'

di p. Hiroshi Konishi *

Nel giorno in cui si celebra il Giubileo dei poveri la riflessione di un sacerdote della diocesi di Tokyo che nell'itinerario dell'Anno Santo con un gruppo di connazionali ha inserito la "tendopoli" notturna di piazza San Pietro. "Un invito a non giudicare, ma a metterci ciascuno in cammino nella nostra povertà insieme agli altri".

Città del Vaticano (AsiaNews) - Oggi a Roma si celebra il Giubileo dei poveri nella domenica di novembre voluta da papa Francesco già al termine dell'Anno Santo della misericordia, per invitare tutta la Chiesa a riscoprire l'invito di Gesù che li chiamava "beati" e spesso nel Vangelo ha indicato alcuni di loro come figure esemplari. In questa giornata speciale rilanciamo una riflessione interessante pubblicata sull'ultimo numero del bollettino mensile dell'arcidiocesi di Tokyo. È un racconto di p. Hiroshi Konishi - parroco della chiesa di Seta nella grande metropoli giapponese e responsabile dicoesano per il Sinodo - che prende spunto da un pellegrinaggio giubilare compiuto a Roma con un gruppo di cattolici giapponesi.

Nel giro di un mese sono andato per due volte in Italia. Lasciate che vi racconti delle persone che ho incontrato là.

A settembre ho viaggiato con un gruppo di pellegrini. Sono stati giorni in cui ci siamo emozionati davanti a paesaggi bellissimi, abbiamo visitato chiese in vari luoghi per pregare e abbiamo gustato piatti deliziosi. Ma a Roma c’era anche un'altra cosa che desideravo far vedere ai membri del gruppo. Si tratta dei senzatetto che trascorrono la notte in piccole tende, in un angolo di piazza San Pietro in Vaticano. Dai tempi di papa Francesco, una parte della piazza è lasciata aperta durante la notte. Il vecchio ufficio postale è stato trasformato in docce per queste persone. Giovani volontari si alternano ogni sera per dare loro sostegno. E soprattutto è un luogo sicuro, perché nelle vicinanze ci sono i carabinieri incaricati della sicurezza. Dormire per strada a Roma significa essere costantemente esposti al pericolo.

Proprio per questo volevo mostrare quel “villaggio di tende” e, con alcune persone, siamo usciti dall’hotel a piedi. La piazza era avvolta dal silenzio, come se il frastuono del giorno fosse una menzogna. Nelle piccole tende, ciascuna per una sola persona, si intravedevano luci fioche. Abbiamo camminato in silenzio, per non disturbare nessuno. Tutti noi, immersi nel silenzio, abbiamo pensato e pregato per quanti passano la notte in quelle tende.

Una frase detta da uno dei partecipanti mi ha però trafitto il cuore: “La persona della mia parrocchia esperta di problemi sociali direbbe che questi non sono senza tetto. Perché hanno una tenda”.

Mi sono sentito avvilito. Ero sbalordito. Il fatto stesso che esista un modo di pensare che definisce l’essere senzatetto in base alla presenza o meno di una tenda mi ha lasciato senza parole. Che comprensione rigida e distorta della povertà è mai questa? Non avere una casa dove tornare. Non avere un luogo che attenda il tuo rientro. Questa è una grande tristezza. Anche se qualcuno avesse una splendida casa, nel momento in cui sente di non avere un luogo a cui tornare, credo che quella persona viva la “povertà”, portando la croce della tristezza. Non dovrebbe essere permesso che altri giudichino arbitrariamente la vita di una persona sulla base del fatto che abbia o meno una piccola tenda. Tuttavia, una parte della Chiesa in Giappone guarda la società con giudizi così arroganti. È un segno della “povertà” dell’anima.

A ottobre sono tornato a Roma accompagnando il card. Kikuchi (l’arcivescovo di Tokyo ndr). Il motivo era la cerimonia d’insediamento nella sua chiesa titolare. Quella parrocchia (San Giovanni Leonardi a Torre Maura ndr) si trova alla periferia di Roma, in una zona piuttosto povera. Eppure ci hanno accolti con grande calore. Bambini, giovani, adulti, anziani… tutti gioivano e accoglievano come uno di loro l’alto prelato giunto da oltre oceano. È stato un benvenuto semplice, senza ostentazione. Probabilmente ognuno di loro porta con sé la croce della tristezza della vita. Ognuno vive una qualche forma di “povertà”. Ed è proprio per questo che hanno accolto noi giapponesi, perfetti sconosciuti. È stato davvero “un dono”.

Dopo quella notte piena di emozione, sono andato insieme al card. Kikuchi alla basilica di Santa Maria Maggiore. È una delle chiese con una Porta Santa. Vi è anche la tomba di papa Francesco. All’ingresso abbiamo incontrato per caso un cardinale. Era seduto su una sedia semplice, non indossava le vesti cardinalizie, ma una camicia con colletto romano e una piccola stola consunta. Abbiamo saputo che ogni venerdì pomeriggio si reca lì per impartire la benedizione a chi lo desidera. Nel mondo ci sono molti fedeli che evitano il sacramento della riconciliazione. Ci sono persone che, pur desiderandolo, non possono ricevere l’Eucaristia a causa delle ferite della loro vita. Forse è per queste persone che quel cardinale vuole almeno offrire la benedizione di Gesù.

Chi riceve la benedizione probabilmente non sa che quell’uomo è un cardinale. E certamente il cardinale stesso non si presenta per quello che è. Ciò che accade là è un incontro tra Gesù e la persona, mediato dalla “povertà” che nasce dalle fatiche della vita. Anche il cardinale cerca di vivere questa “povertà”, con un portamento dignitoso e limpido. Forse vivere Cristo significa proprio assumere un atteggiamento così.

Durante il nostro soggiorno a Roma è stato pubblicato un nuovo documento del papa, l’esortazione apostolica Dilexi Te, che inizia con le parole “Io vi amo” (Ap 3,9), che collega il precedente pontefice e papa Leone XIV. È un monito per coloro che giudicano il mondo e la Chiesa con una visione rigida della povertà, ed è al tempo stesso un invito rivolto a tutti a vivere la “povertà” che nasce dalle fatiche della vita.

Possa ciascuno di noi camminare nella “povertà” insieme a molti altri.

* responsabile del Sinodo per la diocesi di Tokyo e parroco della chiesa di Seta

 

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