17/05/2010, 00.00
SRI LANKA - VATICANO
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Nunzio in Sri Lanka: “Un lungo percorso per la pace, da fare insieme”

di Melani Manel Perera
L’arcivescovo Giuseppe Spiteri ha compiuto una visita pastorale nel nord del Paese, reduce da una lunghissima guerra civile. E ad AsiaNews racconta impressioni e sfide per la Chiesa, e per la popolazione, di una zona ancora molto tormentata.
Colombo (AsiaNews) – La Chiesa dello Sri Lanka “sta facendo ottimi passi avanti nella ricostruzione non solo delle strutture, ma anche delle vite di chi ha subito la lunga guerra civile. Ma nel nord del Paese c’è un percorso ancora molto lungo, che va fatto insieme”. Lo dice ad AsiaNews il Nunzio apostolico in Sri Lanka, l’arcivescovo Giuseppe Spiteri, che ha visitato la scorsa settimana le province settentrionali del Paese, per decenni sotto la guerra.
 
Su invito del vescovo di Jaffna, mons. Thomas Savundaranayagam, il diplomatico vaticano ha compiuto la propria visita pastorale nelle parrocchie, i seminari, gli orfanotrofi e i campi degli sfollati delle aree di Jaffna, Trincomalee, Batticaloa e Mannar. Il Nunzio si è dichiarato “soddisfatto” per l’impegno della Chiesa nei confronti delle vittime di guerra”.
 
E aggiunge: “Ci sono aspetti negativi e aspetti positivi in tutta questa storia, ma molto deve ancora essere fatto. Vorrei che tutti potessero guardare a questa vicenda con una mente aperta, anche perché si deve capire che non è così facile spostare del tutto delle comunità, da un giorno all’altro. Bisogna trovare soluzioni in maniera matura”.
 
Alla presenza del Nunzio è stato inaugurato il Progetto “Rete da pesca Vic-Jaf”, creato dalla Caritas di Jaffna: si tratta di una struttura che aiuterà le vittime della guerra e quelle dello tsunami, dando loro una maniera per mantenere il proprio stile di vita. Per mons. Spiteri, “è una grande consolazione, vedere un aiuto concreto alla popolazione dei pescatori della penisola di Jaffna”.
 
L’arcivescovo spiega ad AsiaNews l’impressione che nasce dalla visita in una provincia colpita dalla guerra: “Dalla stessa strada che ti porta qui nascono impressioni e sentimenti confusi: ho visto edifici, anche chiese, distrutte dalla guerra; ma ho visto anche persone che li stavano ricostruendo. Ci vorranno molti anni, ovviamente, affinché si possa raggiungere un risultato concreto: ma la direzione è quella giusta”.
 
Consolante è anche il fatto che il numero dei rifugiati all’interno dei campi stia diminuendo: “Nei campi di accoglienza si può stare per un breve periodo. Ma il processo di rilocazione è lento per via delle mine anti-uomo, che vanno eliminate. Bisogna assistere in tutti i modi possibili queste persone, aiutarli a coltivare di nuovo le proprie vite”.
 
Per il Nunzio, la Chiesa locale “contribuisce al benessere delle persone e al processo di pace, e di questo sono felice. Tutte le strutture cattoliche – la Caritas ma anche le congregazioni religiose, i gruppi per i diritti umani e quelli di volontariato – fanno del loro meglio per aiutare le vittime. E’ normale che la Chiesa non tenga conto di fattori come religione e nazionalità, quando si impegna: aiuta tutti coloro che ne hanno bisogno. E questo è più chiaro che mai proprio qui, dove aiuta cingalesi, tamil e musulmani”.
 
Dal continuo dialogo con i militari, inoltre, “la Chiesa ha tratto le opportunità per sviluppare una nuova normalità nella parte nord del Paese. Sono da ammirare anche le iniziative congiunte con le parrocchie del sud, e gli scambi che fanno di giovani e esperienze”. Ma il rappresentante vaticano sottolinea anche “la cooperazione con le altre strutture, sparse per il mondo. I nostri fratelli e sorelle in Australia e Francia fanno molto per le comunità tamil, e hanno dato un contributo essenziale per i progetti di sviluppo. La Caritas internazionale, la comunità italiana e le chiese americane continuano nel loro aiuto allo Sri Lanka”.
 
Questo è particolarmente importante “alla luce della diaspora, che dallo Sri Lanka porta nostri fratelli nelle nazioni occidentali. L’aiuto non si limita a ricostruire il possibile qui, ma anche nel sostenere chi è costretto ad andare via”.
 
Per quanto riguarda il futuro “bisogna essere realisti. A un anno dalla fine del conflitto, è stato fatto certamente molto per il Paese e per chi lo abita. Ma le vite delle vittime di guerra devono ancora essere ricostruite del tutto, così come il resto. Possiamo dire di essere sulla strada giusta, ma quello che ci aspetta è un processo lungo e articolato”.
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