22/01/2009, 00.00
INDIA – LEBBRA 2009
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Padre Carlo Torriani: 40 anni di speranze con i lebbrosi di Mumbai

L’India è il Paese in cui vivono il 70% dei malati di lebbra del mondo. La storia di un missionario del Pime che dagli anni ’70 ad oggi ha costruito centinaia di dispensari nelle baraccopoli di Mumbai e fondato una associazione per prevenire, scoprire e curare la malattia. Oggi vive in una piccola comunità con 40 persone, alcuni malati terminali e altri guariti. Una testimonianza in occasione della 56ma Giornata mondiale per i malati di lebbra.
Roma (AsiaNews) - “La prima volta che abbiamo aperto il dispensario per i lebbrosi di Taloja in tre ore sono venute più di 200 persone. I tre dottori non sapevano come fare”. Padre Carlo Torriani, 74enne sacerdote del Pime è missionario in India dal 1969. Per lui i malati di lebbra, la loro vita, la loro sofferenza sono un fatto che da 40 anni riempie le sue giornate.
 
Con i suoi oltre 100mila malati, l’India è il Paese al mondo con il maggior numero di persone affette da quello che la medicina chiama il “morbo di Hansen”. Nel 2005 l’Organizzazione mondiale della sanità ha dichiarato il Paese libero dalla lebbra, rilevando solo un nuovo caso ogni 10mila abitanti. “Ma le statistiche falsano - spiega padre Torriani - perché è vero che il numero dei malati è diminuito tantissimo dagli anni ’80 ad oggi, ma ci sono ancora sacche dove la malattia persiste: nello slum di Bainganwadi a Mumbai abbiamo rilevato 19 casi su 10 mila persone in 15 giorni. E poi una volta che un malato è dichiarato guarito esce dalle statistiche, ma rimane amputato, senza un lavoro, discriminato e le tabelle questo non lo dicono”.
 
La Giornata mondiale dei malati di lebbra, promossa il 25 gennaio dall’Associazione italiana amici di Raoul Follerau (Aifo), è dedicata proprio all’India. Il tema scelto per la 56^ edizione è “Salviamo la bellezza dell’uomo dalla lebbra”. P. Torriani racconta una delle tante storie di cui è testimone per far capire cosa significhi questo slogan.
 
“Avevamo appena aperto il secondo dispensario e si presenta un padre con un bambino di 12 anni in braccio, non poteva camminare. Avevano scoperto che aveva la lebbra a 2 anni e lo avevano tenuto in casa per 10 anni senza mai farlo uscire, mai andato a scuola. Aveva un piede in cancrena e abbiamo dovuto mandarlo subito all’ospedale generale per farglielo amputare - qualche anno dopo lo hanno amputato sino al ginocchio -: era in una condizione pietosa”. Da quel giorno Iqbal, questo il nome del ragazzino, è entrato nella vita di padre Torriani: “Parlava solo il maharathi e l’urdu perché li aveva sentiti in casa. Noi abbiamo iniziato a insegnargli l’hindi (la lingua ufficiale e più parlata nel Paese Ndr)  poi l’inglese e adesso parla anche un po’ l’italiano. Lo abbiamo curato. Io gli ho dato una macchina da scrivere elettrica e lui, con le sue dita amputate sino alle nocche, ha imparato ad usarla. Poi ha fatto un corso di computer…. Adesso dirige l’ufficio del telefono pubblico del nostro villaggio”.
 
Padre Torriani oggi vive a 40 chilometri da Mumbai, a Taloja, un villaggio musulmano immerso in una zona a stragrande maggioranza indù. Nel 1984 ha cominciato lì una esperienza di condivisione totale con una quarantina di persone, per lo più anziani, alcuni malati terminali, altre guariti, tutti segnate dalla lebbra. “C’è un dispensario, una fattoria con cui produciamo cibo per le necessità di tutti. Ma è anche una  ashram, un posto di ritiro e meditazione secondo la tradizione indiana. Lo abbiamo chiamato Swarga Dwar che significa ‘Porta del cielo’. La nostra giornata comincia con il lavoro insieme. Due ore nei campi uno affianco all’altro, dalle 7.30 alle 9.30, per capire che non esistono distinzioni di casta. Lavorare la terra è da ‘fuori casta’: noi lo facciamo tutti assieme. Mangiamo assieme con una sola cucina, preghiamo assieme….”.
 
Taloja è l’ultimo capitolo dell’opera del missionario. Prima del villaggio fuori Mumbai, padre Torriani ha fondato un’associazione che opera nelle baraccopoli della metropoli ed oggi è diretta da indiani. “Due volte alla settimana vado alla Lok Seva Sangam (Lss) [società per il servizio del popolo Ndr] per vedere come va. Adesso va avanti da sola. Compre un territorio con circa 2milioni di abitanti. Facciamo un lavoro di prevenzione, scoperta e cura della lebbra”.
La Lss si prende cura della situazione e collabora con le autorità del governo, ma non è sempre stato così.
 
Padre Torriani racconta che agli inizi l’opera era “sopportata” dalle autorità. Lui stesso nel 1981 ha finito per prendere la cittadinanza indiana per evitare l’espulsione. “Succedeva così: la gente si raccoglieva in alcune zone della città e metteva su baraccopoli che a poco a poco di ingrossavano. Poi il governo decideva che quella zona era edificabile, sgomberava tutto e i poveri trovavano posto da qualche altra parte. Gli sgomberi sono quasi sempre avvenuti all’improvviso. Una volta è successo anche il giorno di Natale. La vicenda della mia cittadinanza è legata ad uno sgombero del ’78. Dovevano costruire un ponte per un' autostrada e quindi avevano deciso di liberare l’area dalle baracche. L’ennesimo trasferimento per una marea di povera gente e per tutti i nostri dispensari. Siamo andati dal collector (responsabile dello sgombero Ndr) per chiedere un alternativa e abbiamo ottenuto la promessa che avrebbero assegnato ufficialmente un appezzamento a chi poteva documentare che era lì dal ’75. Non appena torniamo a casa vediamo che lo sgombero è già iniziato: nessuno aveva documenti che certificassero da quando era lì. Un donna si avvicina e mi dice che hanno cominciato a portare via anche le nostre cose, compreso un tavolo dove io tenevo dei soldi. Mi sono messo a inseguire il camion su cui lo avevano caricato e mi trovo dietro tutta la gente che fa diventare il mio inseguimento al tavolo un assalto alla garibaldina al camion! Sono arrivati i rinforzi della sicurezza: un bel po’ di botte e ci portano al posto di polizia. Lì hanno minacciato di espellermi. Se non che, un professore che ci conosceva va dal Ministro delle case popolari che sopraintendeva i lavori e gli spiega che con il nostro lavoro con i lebbrosi avevamo censito tutti gli abitanti. Alla fine mi hanno rilasciato, il ministro ha fermato i lavori e noi abbiamo potuto documentare chi era lì dal ’75 e chi no”.
 
La povertà e ancor di più la lebbra sono una barriera insuperabile. “C’è una discriminazione continua, che fatica ad andare via”, racconta padre Torriani. “Per esempio, quando abbiamo cercato di mandare a scuola Iqbal ci hanno detto di no e non hanno voluto mandarci neanche un maestro. Poi un giorno sono venuti a chiederci di dare loro una mano per rifare il tetto della scuola e io ho detto loro: ‘Il tetto ve lo rifaccio tutto io, ma voi mi prendete tutti i ragazzi’. È andata così. E adesso vicino a Taloja hanno dato un appezzamento per una ong che cura i ragazzi di strada e i nostri giocano con loro a cricket’”.
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