02/09/2023, 12.22
VATICANO-MONGOLIA
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Papa da Ulan Bator: 'Guardiamo il Cielo per spazzare via le nuvole della guerra'

Nella capitale mongola il discorso alle autorità esaltando la scelta di rifiutare le armi nucleari. In una città scossa dalle proteste per lo scandalo sul carbone, un forte richiamo contro la corruzione "che impoverisce Paesi interi". Nell'incontro in cattedrale con la piccola Chiesa locale l'invito alla semplicità: "I numeri e i successi non sono la strada di Dio". La statua dell'Immacolata ritrovata in una discarica benedetta dal pontefice.

Ulan Bator (AsiaNews) – “Le nuvole passano, il cielo resta”. Ha scelto un detto locale papa Francesco da Ulan Bator per rilanciare dal cuore dell’Asia il suo messaggio di pace nei primi discorsi ufficiali del suo viaggio in Mongolia. “Passino le nuvole oscure della guerra - commenta il pontefice - vengano spazzate via dalla volontà ferma di una fraternità universale in cui le tensioni siano risolte sulla base dell’incontro e del dialogo, e a tutti vengano garantiti i diritti fondamentali. Imploriamo questo dono dall’Alto e diamoci da fare insieme per costruire un avvenire di pace”.

L’appello è stato il cuore dell’ampio discorso pronunciato questa mattina nell’incontro con le autorità e il corpo diplomatico nel Palazzo di Stato della capitale mongola. Con a fianco il presidente Ukhnaagiin Khürelsükh papa Francesco vi è arrivato dopo essere stato accolto ufficialmente nella centrale piazza Sükhbaatar, all’ombra del grande monumento a Gengis Khan. Proprio alla tradizione dell’impero mongolo del passato il pontefice ha fatto riferimento richiamando la cosiddetta “pax mongolica”, cioè “la non comune capacità di riconoscere le eccellenze dei popoli che componevano l’immenso territorio imperiale e di porle al servizio dello sviluppo comune”. Ma anche guardando al presente ha esaltato “la determinazione della Mongolia a fermare la proliferazione nucleare e a presentarsi al mondo come Paese senza armi nucleari”.

Esalta il messaggio che “con il suo sguardo al cielo” e le sue tradizioni il Paese del silenzio e delle steppe lancia al mondo. A partire dalla ger - la tenda circolare dei pastori mongoli - motivo ricorrente di questo viaggio. Papa Francesco la addita come uno spazio abitativo “smart e green” ante litteram, icona della sapienza mongola sulla custodia del creato “sedimentata in generazioni di allevatori e coltivatori prudenti, sempre attenti a non rompere i delicati equilibri dell’ecosistema, ha molto da insegnare a chi oggi non vuole chiudersi nella ricerca di un miope interesse particolare, ma desidera consegnare ai posteri una terra ancora accogliente e feconda”.

Ma ogni ger ha anche alla sua sommità una finestra rotonda “che fa entrare la luce e permette di ammirare proprio il cielo”. E da qui Francesco prende spunto per parlare del tema della religiosità del popolo mongolo: “Nella contemplazione degli orizzonti sterminati e poco popolati da esseri umani, si è affinata nel vostro popolo una propensione al dato spirituale, a cui si accede dando valore al silenzio e all’interiorità”. Una risorta quanto mai importante oggi di fronte “al pericolo rappresentato dallo spirito consumistico che oggi, oltre a creare tante ingiustizie, porta a un individualismo dimentico degli altri e delle buone tradizioni ricevute”.

Indica questo sguardo verso l’alto anche come antidoto al male che tutti conoscono bene oggi in Mongolia: la corruzione che negli ultimi mesi ha portato in piazza migliaia di persone dopo gli scandali emersi intorno alle vendite carbone alla Cina. Di fronte ai politici locali il papa non esita a parlarne. Definisce la corruzione un tarlo che “costituisce a tutti gli effetti una seria minaccia allo sviluppo di qualsiasi gruppo umano, nutrendosi di una mentalità utilitaristica e spregiudicata che impoverisce Paesi interi. È indice di uno sguardo che si allontana dal cielo e fugge i vasti orizzonti della fraternità, chiudendosi in sé stesso e anteponendo a tutto i propri interessi”.

Cita la libertà religiosa oggi presente nella costituzione mongola, ben sapendo che in anni non poi così lontani non è stato così. Il Palazzo di Stato dove sta parlando sorge là dove fino al XX secolo c’era Ikh Khüree, il grande monastero buddhista completamente distrutto dal regime comunista del Paese negli anni ’30 in una persecuzione religiosa che fece migliaia di morti. Ma da trent’anni ormai il Paese ha voltato pagina e in questa rinascita religiosa anche la piccola comunità cattolica ha potuto riprendere quel cammino che - ricorda papa Francesco - era già stato iniziato prima dai missionari siriaci (i grandi evangelizzatori del primo millennio) e poi ai tempi dell’impero mongolo dal francescano fra Giovanni di Pian del Carpine, inviato di papa Innocenzo IV.

Proprio a questo precedente storico del 1246 si rifà il dono del pontefice al presidente mongolo: una copia autentica della lettera di risposta, timbrata con il sigillo del Gran Khan in caratteri mongoli tradizionali, alla missiva papale, conservata nella Biblioteca Vaticana. “Possa essere segno di un’amicizia antica che cresce e si rinnova”, commenta Francesco. Ricordando anche il negoziato in corso per la stipula di un accordo bilaterale tra Mongolia e Santa Sede, che rappresenterebbe per la piccola comunità cattolica della Mongolia un passo importante “per il raggiungimento di quelle condizioni essenziali per lo svolgimento delle ordinarie attività in cui la Chiesa cattolica è impegnata”.

E proprio alla piccolissima comunità di appena 1500 fedeli - che oggi ha conseguito anche l’insolito “record” di entrare tutta una fotografia collettiva insieme al pontefice - è stato dedicato il secondo incontro di giornata, quello nella cattedrale dei Santi Pietro e Paolo con i vescovi (giunti per l’occasione da tanti Paesi dell’Asia), i missionari e gli operatori pastorali. Dopo aver ascoltato le testimonianze di suor Salvia, missionaria della Carità, di p. Peter Sanjaajav (uno dei due sacerdoti mongoli), papa Francesco è rimasto colpito dalle parole di Rufina, una convertita locale divenuta catechista che ha raccontato: “Qui siamo come i bambini che pongono tante domande sulla fede”.

Il pontefice ha tracciato lo stile della presenza missionaria della Chiesa, in Mongolia come in qualsiasi altra frontiera del Vangelo. "I governi e le istituzioni secolari – ha spiegato - non hanno nulla da temere dall’azione evangelizzatrice della Chiesa, perché essa non ha un’agenda politica da portare avanti, ma conosce solo la forza umile della grazia di Dio e di una Parola di misericordia e di verità, capace di promuovere il bene di tutti".

“Siate sempre vicini alla gente - ha raccomandato alla Chiesa della Mongolia - prendendovene cura personalmente, imparando la lingua, rispettando e amando la loro cultura, non lasciandovi tentare da sicurezze mondane, ma rimanendo saldi nel Vangelo attraverso un’esemplare rettitudine di vita spirituale e morale. Semplicità e vicinanza, senza stancarvi di portare a Gesù i volti e le storie che incontrate, i problemi e le preoccupazioni, spendendo tempo nella preghiera quotidiana, che vi permette di stare in piedi nelle fatiche del servizio e di attingere al Dio di ogni consolazione la speranza da riversare nei cuori di quanti soffrono”.

Quanto i numeri - come già l’anno scorso in Kazakistan - anche a Ulan Bator Francesco ha tessuto l’elogio della piccolezza. “Non abbiate paura dei numeri esigui, dei successi che tardano, della rilevanza che non appare. Non è questa la strada di Dio”. E proprio in questo cammino ha invitato a lasciarsi di guidare dalla statua dell’Immacolata ritrovata nell’immondizia, il grande segno che - come raccontavamo su AsiaNews già a Natale scorso – accompagna oggi questa piccola Chiesa. Prima dell’incontro in cattedrale Francesco ha incontrato la donna che trovò l’immagine, che l’ha accolto nella sua ger. Poi ha anche benedetto personalmente “l’Immacolata senza macchia, immune dal peccato, ha voluto farsi così vicina da essere confusa con gli scarti della società”. Nel discorso l’ha accostata anche alla suun dalai ijii, “la mamma dal cuore grande come un oceano di latte” della tradizione mongola. “Guardiamo a Maria, che nella sua piccolezza è più vasta del cielo, perché ha ospitato in sé Colui che i cieli e i cieli dei cieli non possono contenere - ha concluso -. Affidiamoci a lei, chiedendo uno zelo rinnovato, un amore ardente che non si stanca di testimoniare il Vangelo con gioia. Andate avanti: Dio vi ama, Lui vi ha scelti e crede in voi”.

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