11/06/2016, 12.38
VATICANO
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Papa: La diversità è ricchezza, la Chiesa accolga tutti o chiuda le sue porte

Francesco riceve in udienza i partecipanti al Convegno “…e tu mangerai sempre alla mia tavola!”, promosso dal settore per la catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale italiano. E risponde a braccio a due domande poste da due ragazze con disabilità: “Stringersi la mano è comunione, ma molti pensano sia più comodo ignorare le diversità”. Ai sacerdoti che non accolgono propone “una pastorale dell’orecchio”. Il testo integrale del discorso a braccio.

Città del Vaticano (AsiaNews) – La diversità non è un limite ma una ricchezza, e i sacerdoti che non accolgono o addirittura respingono i disabili farebbero meglio a chiudere la porta della loro chiesa. Lo ha detto papa Francesco ricevendo in udienza i partecipanti al Convegno “…e tu mangerai sempre alla mia tavola!”, promosso dal settore per la catechesi delle persone disabili dell’Ufficio catechistico nazionale italiano. Francesco risponde a braccio a due domande poste da due ragazze con disabilità, una sul valore della diversità e l’altra sull’accesso ai sacramenti per le persone disabili “a volte tenute lontane” dalla Chiesa. Di seguito il testo completo, trascrizione a cura di AsiaNews.

La prima domanda era molto, molto ricca. Molto ricca. E parlava di diversità. Tutti siamo diversi. Non c’è uno che sia uguale all’altro. E ci sono alcune diversità più grandi, altre più piccole, ma tutti siamo diversi. E lei, la ragazza che ha fatto la domanda prima, diceva: “Tante volte abbiamo paura delle diversità”. Ci fanno paura. Perché? Perché andare all’incontro con una persona che ha una diversità, non diciamo forte ma grande, è una sfida. E ogni sfida ci dà paura. È più comodo non muoversi, è più comodo ignorare le diversità e dire “siamo tutti uguali, e se qualcuno non è uguale lasciamolo da parte, non andiamo all’incontro”. È la paura che ci dà ogni sfida: ogni sfida ci impaurisce, ci fa paura. Ci fa un po’ timorosi. E no! Le diversità sono proprio la ricchezza, perché io ho una cosa, tu ne hai un’altra e con queste due facciamo una cosa più bella e più grande. E così possiamo andare avanti.

E così pensiamo a un mondo dove tutti siano uguali. Sarebbe un mondo noioso. Un mondo noioso. È vero che ci sono diversità che sono dolorose, tutti lo sappiamo, quelle che hanno radici in una malattia… ma anche quelle diversità ci aiutano, ci sfidano e ci arricchiscono. Per questo non dobbiamo mai avere paura delle diversità, è proprio la strada per migliorare. Per essere più belli e più ricchi.

E come si fa questo? Mettere in comune quello che noi abbiamo. Mettere in comune. C’è un gesto bellissimo che noi persone umani abbiamo, un gesto che facciamo quasi incoscientemente ma è un gesto molto profondo: stringere la mano. Quando io stringo la mano metto in comune quello che ho con te. Se è uno stringere la mano sincero, io ti do il mio e tu mi dai il tuo. E questa è una cosa che ci fa bene a tutti.

Andare avanti con le diversità. Perché le diversità sono una sfida ma ci fanno crescere. Ci fanno crescere. E pensare che ogni volta che io stringo la mano a un altro, do qualcosa del mio e ricevo qualcosa da lui. E questo anche ci fa crescere. Questo è quello che mi viene da rispondere alla prima domanda, grazie.

Ho dimenticato qualcosa della prima domanda, ma rispondo adesso con questa che ha fatto Serena. Ma Serena mi mette in difficoltà. Perché se io dico quello che penso… E ha parlato poco, tre quattro righe. Ma le ha dette forte. Serena ha parlato di una delle cose più brutte, più brutte che ci sono fra noi: la discriminazione. È una cosa bruttissima. “Tu non sei come me, tu vai di là e io di qua”. Ma io vorrei fare la catechesi, ma in questa parrocchia no. Questa parrocchia è per quelli che si assomigliano, dove non ci sono differenze… è buona o no? Cosa deve fare il parroco? Convertirsi! È vero che se vuoi fare la Comunione devi avere una preparazione, ma se non conosci questa lingua – magari sei sordi – devi avere la possibilità in questa parrocchia di prepararti con il linguaggio dei sorsi. Quello è importante.

Se tu sei diverso, anche tu hai la possibilità di essere il migliore. E quello è vero! La diversità non dice che chi ha i cinque sensi che funzionano bene è diverso dal sordomuto: questo non è vero. Tutti abbiamo la stessa possibilità di crescere, andare avanti, amare il Signore, capire la dottrina cristiana. Tutti abbiamo la stessa possibilità di ricevere i sacramenti, capito?

Quando, tanti anni fa, cent’anni fa o di più, il papa Pio X ha detto che si doveva dare la Comunione ai bambini tanti si sono scandalizzati. “Ma quel bambino non capisce, è diverso. Non capisce bene”. Date la Comunione ai bambini, ha detto il Papa, e ha fatto di una diversità una uguaglianza. Perché lui sapeva che il bambino capisce in un altro modo, e quando ci sono diversità fra noi si capisce in un altro modo. Ma anche nelle scuole, nei quartieri ognuno ha la sua ricchezza. È diverso, è come se parlasse un’altra lingua, ma è diverso. È diverso perché si esprime in un modo diverso, e questa è una ricchezza.

Per questo quello che ha detto Serena succede tante volte, è una delle cose più brutte delle nostre città, della nostra vita: la discriminazione. Con parole offensive, anche. E non si può essere discriminati.

Ognuno di noi ha il modo di conoscere le cose, che è diverso. Uno conosce in un modo, uno in un altro. Ma tutti possono conoscere Dio. [Una bambina si alza dal pubblico e inizia a salire le scale verso il Papa, che si ferma nel parlare] Vieni, vieni, vieni… Questa è coraggiosa, non ha paura, rischia. E ci ha dato una lezione. Questa mai sarà discriminata, si sa difendere da sola.

Nella parrocchia, nella messa, nei sacramenti, tutti sono uguali perché hanno lo stesso Signore Gesù e la stessa mamma, la Madonna. [Una seconda bambina arriva dal Papa, lo bacia e si siede ai suoi piedi insieme alla prima]. Come accogliere tutti. Ma, se tu – non dico a te, so che accogli tutti – ma pensa a un sacerdote che non accoglie tutti. Che consiglio darebbe il Papa? Chiudi la porta della chiesa, per favore: o tutti o nessuno!

Ma pensiamo a un prete che si difende: “No padre non è così, non posso accogliere tutti perché non sono capaci di capire”. Sei tu che non sei capace di capire!

Quello che deve fare il prete, aiutato dai laici, dai catechisti e da tanta gente, è aiutare tutti a capire. Capire la fede, l’amore, come essere amici, le differenze, come si completano le cose, come uno può dare una cosa e uno un’altra. Questo è aiutare a capire. Hai usato due parole belle: accogliere e ascoltare. Accogliere, cioè ricevere tutti. Ricevere tutti, tutti! E ascoltare tutti.

Io vi dico una cosa. Oggi credo che nella pastorale della Chiesa si fanno tante cose belle, tante cose buone. Ma c’è una cosa che si deve fare di più, anche i sacerdoti e i laici ma soprattutto i sacerdoti: l’apostolato dell’orecchio, ascoltare. “Ma padre, è noioso ascoltare, sono sempre le stesse storie”. Ma non sono le stesse persone, e il Signore è nel cuore di tutte le persone. E tu devi avere la pazienza di ascoltare, accogliere e ascoltare.

Credo che con questo ho risposto alle domande. Avevo preparato per voi un discorso, il Prefetto ve lo consegnerà perché sia conosciuto da tutti [si trova in fondo al testo ndr]. Leggere un discorso è un po’ noioso. E c’è un momento, state attenti: quando uno inizia a leggere un discorso, un po’… Con certa furbizia, iniziano a guardare l’orologio, come dicendo “quando finirà di parlare questo?”. Il discorso è da leggere, o leggete voi. Vi ringrazio tanto per questa visita, per questa bellezza delle diversità che fanno comunità. Uno dall’altro, l’altro uno. Grazie tante e pregate per me.

QUESTO IL TESTO DEL DISCORSO NON PRONUNCIATO

Cari amici,

vi accolgo in occasione del 25° anniversario dell’istituzione del Settore per la Catechesi delle persone disabili dell’Ufficio Catechistico Nazionale italiano. Una ricorrenza che stimola a rinnovare l’impegno affinché le persone disabili siano pienamente accolte nelle parrocchie, nelle associazioni e nei movimenti ecclesiali. Vi ringrazio per le domande che mi avete rivolto e che mostrano la vostra passione per questo ambito della pastorale. Esso richiede una duplice attenzione: la consapevolezza della educabilità alla fede della persona con disabilità, anche gravi e gravissime; e la volontà di considerarla come soggetto attivo nella comunità in cui vive.

Questi fratelli e sorelle – come dimostra anche questo Convegno – non sono soltanto in grado di vivere una genuina esperienza di incontro con Cristo, ma sono anche capaci di testimoniarla agli altri. Molto è stato fatto nella cura pastorale dei disabili; bisogna andare avanti, ad esempio riconoscendo meglio la loro capacità apostolica e missionaria, e prima ancora il valore della loro “presenza” come persone, come membra vive del Corpo ecclesiale. Nella debolezza e nella fragilità si nascondono tesori capaci di rinnovare le nostre comunità cristiane.

Nella Chiesa, grazie a Dio, si registra una diffusa attenzione alla disabilità nelle sue forme fisica, mentale e sensoriale, e un atteggiamento di generale accoglienza. Tuttavia le nostre comunità fanno ancora fatica a praticare una vera inclusione, una partecipazione piena che diventi finalmente ordinaria, normale. E questo richiede non solo tecniche e programmi specifici, ma prima di tutto riconoscimento e accoglienza dei volti, tenace e paziente certezza che ogni persona è unica e irripetibile, e ogni volto escluso è un impoverimento della comunità.

Anche in questo campo è decisivo il coinvolgimento delle famiglie, che chiedono di essere non solo accolte, ma stimolate e incoraggiate. Le nostre comunità cristiane siano “case” in cui ogni sofferenza trovi compassione, in cui ogni famiglia con il suo carico di dolore e fatica possa sentirsi capita e rispettata nella sua dignità. Come ho osservato nell’Esortazione apostolica Amoris laetitia, «l’attenzione dedicata tanto ai migranti quanto alle persone con disabilità è un segno dello Spirito. Infatti entrambe le situazioni sono paradigmatiche: mettono specialmente in gioco il modo in cui si vive oggi la logica dell’accoglienza misericordiosa e dell’integrazione delle persone fragili» (n. 47).

Nel cammino di inclusione delle persone disabili occupa naturalmente un posto decisivo la loro ammissione ai Sacramenti. Se riconosciamo la peculiarità e la bellezza della loro esperienza di Cristo e della Chiesa, dobbiamo di conseguenza affermare con chiarezza che esse sono chiamate alla pienezza della vita sacramentale, anche in presenza di gravi disfunzioni psichiche. È triste constatare che in alcuni casi rimangono dubbi, resistenze e perfino rifiuti. Spesso si giustifica il rifiuto dicendo: “tanto non capisce”, oppure: “non ne ha bisogno”. In realtà, con tale atteggiamento, si mostra di non aver compreso veramente il senso dei Sacramenti stessi, e di fatto si nega alle persone disabili l’esercizio della loro figliolanza divina e la piena partecipazione alla comunità ecclesiale.

Il Sacramento è un dono e la liturgia è vita: prima ancora di essere capita razionalmente, essa chiede di essere vissuta nella specificità dell’esperienza personale ed ecclesiale. In tal senso, la comunità cristiana è chiamata ad operare affinché ogni battezzato possa fare esperienza di Cristo nei Sacramenti. Pertanto, sia viva preoccupazione della comunità fare in modo che le persone disabili possano sperimentare che Dio è nostro Padre e ci ama, che predilige i poveri e i piccoli attraverso i semplici e quotidiani gesti d’amore di cui sono destinatari. Come afferma il Direttorio Generale per la Catechesi: «L’amore del Padre verso questi figli più deboli e la continua presenza di Gesù con il suo Spirito danno fiducia che ogni persona, per quanto limitata, è capace di crescere in santità» (n. 189).

È importante fare attenzione anche alla collocazione e al coinvolgimento delle persone disabili nelle assemblee liturgiche: stare nell’assemblea e dare il proprio apporto all’azione liturgica con il canto e con gesti significativi, contribuisce a sostenere il senso di appartenenza di ciascuno. Si tratta di far crescere una mentalità e uno stile che metta al riparo da pregiudizi, esclusioni ed emarginazioni, favorendo una effettiva fraternità nel rispetto della diversità apprezzata come valore. Cari fratelli e sorelle, vi ringrazio per quanto avete fatto in questi venticinque anni di lavoro al servizio di comunità sempre più accoglienti e attente agli ultimi. Andate avanti con perseveranza e con l’aiuto di Maria Santissima nostra Madre. Io prego per voi e vi benedico di cuore; e anche voi, per favore, pregate per me.

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