04/02/2006, 00.00
ASIA
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Post tsunami in India, dal governo solo parole

di Marta Allevato

Un missionario del Pime in Tamil Nadu racconta i problemi legati agli aiuti governativi per la ricostruzione: la gente non si fida più del governo, che non dà le case promesse. I bisogni sono più grandi oggi che un anno fa. Popolazione ancora psicologicamente fragile: panico ogni volta che l'acqua si avvicina alle tende.

Roma (AsiaNews) – A più di un anno dallo tsunami i sopravvissuti al disastro in Tamil Nadu e Andamane hanno ricevuto dal governo "più parole che aiuti materiali". Intanto si fa urgente una più mirata assistenza psicologica alle popolazioni, che ancora "cadono nel panico, se l'acqua del mare arriva troppo vicino alle loro tende". A raccontare le carenza negli aiuti governativi per il post tsunami in India è p. Anthony Thota, coordinatore della campagna maremoto per il Pontificio istituto missioni estere (Pime). Dal Tamil Nadu  - via telefono - il missionario racconta anche la tragedia di queste genti sempre più "dimenticate" dall'attenzione internazionale. Sia India che Indonesia ieri hanno smentito le conclusioni del rapporto, definendolo "infondato".

Il 1 febbraio la pubblicazione di un rapporto sponsorizzato dall'Onu sulla situazione post tsunami in India, Sri Lanka, Indonesia, Thailandia e Maldive ha acceso per un attimo i riflettori sul problema. Lo studio denuncia le mancanze dei governi nel provvedere case, condizioni igieniche e lavoro alle vittime, oggetto inoltre di discriminazioni nella distribuzione degli aiuti.

P. Thota, da un anno impegnato sul campo, sostiene che "le autorità nella zona continuano a promettere e a non mantenere". "Ho visitato tanti villaggi – dice – in alcuni sono stati condotti buoni progetti, ma la maggior parte sembrano essere stati dimenticati dal governo".

"Nella campagna, un po' distante dal mare, ad esempio a Kalpagam, la gente ancora vive in tende e aspetta una risposta dal governo su quando potrà avere una sistemazione fissa". Il sacerdote racconta che la popolazione, ormai stanca, chiede ai missionari di costruire loro delle abitazioni.

Secondo p. Thota il problema si spiega con "la corruzione, ma anche con il fatto che fa comodo accumulare i fondi per gli aiuti per future campagne elettorali". Bisogna poi ricordare che "l'India ha rifiutato gli aiuti della comunità internazionali offerti subito dopo la tragedia".

Ma non è solo il governo a dimenticarsi degli sfollati. "All'inizio – denuncia il missionario - quando si vedevano i cadaveri per le strade sono arrivati molte donazioni, ora la gente si è dimenticata di questi luoghi e anche diverse Ong sono andate via senza completare progetti". "I poveri hanno bisogno di aiuti più ora che nei primi mesi dal disastro".

Il sacerdote conferma anche le drammatiche condizioni igieniche e sanitarie in cui vive la gente nelle isole Andamane. "Qui si soffre molto di dissenteria, malnutrizione e malaria". Ma l'urgenza più grande sembra essere ora l'assistenza psicologica: "Più di rimanere senza cibo o medicine, le persone hanno paura di rivivere la stessa esperienza del 26 dicembre 2004". Thota racconta che quando l'acqua si avvicina di più alla costa arrivando a poca distanza dalle tende, "si crea il panico e tutti vogliono scappare". Nessuno si sente sicuro – continua – ci si continua a spostare e mancano progetti mirati per un intervento a livello psicologico.

Il rapporto denunciava anche discriminazioni nella distribuzione degli aiuti a donne e poveri. Per l'India la discriminazione avviene anche tra le vittime stesse. Il missionario ricorda che "nelle strutture dove ospitavamo gli sfollati spesso erano loro stessi ad emarginare i dalit o le donne, che spontaneamente si allontanavano in cerca di un'altra sistemazione".

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