04/07/2013, 00.00
COREA
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Pyongyang riapre Kaesong; nei lager i suoi schiavi lavorano per la Cina

Con una mossa a sorpresa il governo del Nord accetta di “normalizzare” la linea rossa di colloquio con Seoul e permette agli industriali di visitare il complesso, chiuso di imperio lo scorso 3 aprile. Ma uno studio condotto fra gli esuli del regime denuncia: “Nei campi di lavoro forzato, i prigionieri politici producono beni per il mercato cinese”.

Seoul (AsiaNews) - Con una mossa del tutto inaspettata, il governo della Corea del Nord ha riaperto nella notte la linea rossa di dialogo con Seoul e ha annunciato che "sarà permesso" agli industriali del Sud di visitare Kaesong, il complesso inter-coreano chiuso d'imperio dopo la crisi dello scorso marzo. Allo stesso tempo, però, un'inchiesta britannica denuncia che nei lager del regime di Pyongyang i "detenuti-schiavi" sono costretti a produrre articoli di cosmetica destinati al mercato cinese.

L'annuncio del governo del Nord è stato confermato da un funzionario del ministero dell'Unificazione di Seoul: "La linea rossa [canale telefonico dedicato che collega i due governi nda] è stata riaperta e il Nord ha accettato la nostra richiesta di normalizzarlo". Inoltre, ha aggiunto, "abbiamo ricevuto garanzie sulla possibilità, da parte dei nostri industriali, di visitare il complesso e di prendere le misure necessarie per evitarne il deterioramento".

Il complesso industriale di Kaesong si trova in territorio nordcoreano, ma è soggetto a degli accordi bilaterali: nelle aziende di proprietà del Sud lavorano operai del Nord. I profitti vengono ripartiti in maniera equa. Lo scorso 3 aprile, dopo un'escalation di tensione durata quasi un mese, Pyongyang l'ha chiuso in maniera unilaterale. Nei giorni scorsi gli industriali di Seoul hanno avvertito che "non hanno intenzione" di continuare a mantenere le fabbriche ferme e il regime dei Kim ha accettato di riaprirle.

L'economia nordcoreana è sull'orlo del baratro. Le disastrose politiche valutarie del defunto Kim Jong-il, la totale dedizione al programma nucleare (illegale secondo la comunità internazionale) e i successivi embargo decisi dall'Onu - che hanno bloccato importazioni ed esportazioni - hanno piegato il regime. Che, nei campi di lavoro dove sono rinchiusi i prigionieri politici e religiosi, costringono i detenuti a lavorare per il mercato cinese.

La denuncia viene da uno studio che ha coinvolto un gruppo di 60 donne, fuggite dal Nord fra il 2011 e il 2012. Dal testo - sponsorizzato dall'ambasciata britannica in Corea del Sud - emerge con chiarezza che nei lager dei Kim i detenuti sono di fatto degli schiavi, che lavorano per produrre beni (in prevalenza cosmetici) per la Cina. Johanna Hosaniak, vice direttore dell'Alleanza per i diritti umani dei nordcoreani, dice: "La maggior parte di questi centri produce per i cinesi, non ci sono dubbi. Tutti gli ex prigionieri politici parlano di questa produzione".

 

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