24/11/2009, 00.00
COREA
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Rifugiati dal Nord, per la Chiesa “parte della nostra società, agenti del Vangelo”

di Joseph Yun Li-sun
Un incontro promosso dalla Rete episcopale per la Riconciliazione del popolo coreano porta alla luce il dramma dei saetomin, gli esuli nordcoreani che vivono nella discriminazione nella parte sud della penisola. Il vescovo ausiliare di Seoul: “Sono loro gli agenti dell’unità, dobbiamo accoglierli come fratelli”.

Seoul (AsiaNews) – I rifugiati nordcoreani che vivono nel sud della penisola “sono agenti di evangelizzazione, membri a tutti gli effetti della nostra società e amici con cui costruire insieme il futuro”. Lo ha detto il vescovo ausiliare di Seoul, mons. Lucas Kim Woon-hoe, nel corso del 12mo incontro della Rete episcopale per la Riconciliazione del popolo coreano di cui è presidente. Il tema dell’incontro, che si è svolto il 22 novembre nel Centro Hanmaum della capitale, era “I saeteomin, agenti di Vangelo”.

Saeteomin in coreano significa “rifugiati, coloni”, ed è il termine con cui i sudcoreani chiamano coloro che riescono a scappare dal regime di Pyongyang per stabilirsi dall’altra parte del confine. Col tempo, dato il bassissimo livello di integrazione degli esuli, è divenuto un termine dispregiativo. E proprio da questo è voluto partire mons. Kim, che ha detto: “Dobbiamo essere veri testimoni di quello che accade nel Nord. E niente piò aiutarci di più in questo compito dei nostri fratelli saeteomin, che hanno la nostra identica dignità”.

Il loro modo di vivere, la loro testimonianza “servirà sempre di più per denunciare e sconfiggere il pregiudizio sociale che li colpisce, e il senso di alienazione che li accoglie in Corea del Sud. Ascoltando la loro testimonianza, impariamo a conoscerli e ad accoglierli, anche in vista del loro ruolo di evangelizzatori, quando la Corea del Nord tornerà ad essere un Paese libero”. Oltre ai partecipanti laici, erano presenti circa 90 tra sacerdoti, religiosi e saeteomin.

Uno di loro, Dong Young-soo, è riuscito a entrare in Corea del Sud nel 2003. Subito dopo mons. Kim ha preso la parola: “Non posso fare altro che prendere atto di tante cose ingiuste. Ad esempio, non capisco come sia possibile che i saeteomin facciano parte della terza classe della società coreana, quando meglio di noi vivono persino i cinesi con antiche ascendenze coreane”. Quello che può sembrare un lamento classista è in realtà uno spaccato della moderna Corea del Sud: in base alla classe sociale, infatti, si ha accesso a determinati tipi di istruzione o lavoro.

Proprio su questo punto, ad esempio, è intervenuta Kang Seon-hee: “Qui, tutto ciò che sono riuscita a trovare è un umile lavoro, anche se io vorrei dare un vero contributo al mondo in cui vivo. Non mi basta raggranellare il pane per vivere, voglio poter dare di più”. In effetti, la comunità dei saeteomin vive emarginata dal resto del Paese: considerati dei traditori inaffidabili in patria, nel sud vengono trattati come mendicanti perenni.

Secondo il professor Ko Kyeong-bin, che insegna all’Università di Seoul, “l’agonia dei 20mila saeteomin che vivono qui ci preoccupa molto. D’altra parte, questi sono soltanto lo specchio dei 20 milioni di nordcoreani che arriveranno da noi dopo la Riunificazione delle due Coree. Dobbiamo fare molta strada, prima di essere pronti ad accoglierli nel modo giusto”.

L’accademico, che ha guidato per anni il Dipartimento per la Riunificazione del governo, aggiunge: “È proprio il pregiudizio e la discriminazione contro di loro che ha contribuito a rendere più difficile la strada verso una nuova unione fra i due Paesi. Dobbiamo cambiare il nostro modo di fare, perché siano proprio loro gli agenti del ritorno all’unità. In un secondo momento, saranno anche agenti di evangelizzazione”.

Prima di chiudere l’incontro, mons. Kim ha aggiunto: “Con questa giornata ho capito quale importante missione dobbiamo compiere, il prima possibile. Ho ascoltato la testimonianza dei saeteomin e ne sono rimasto molto colpito. Pregherò Dio, affinché giunga presto il giorno in cui tutti noi potremo vivere con un cuore solo la riconciliazione delle due Coree”.

 

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