30/12/2006, 00.00
IRAQ
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Saddam, tra gli iracheni niente lacrime ma poca speranza nella pace

La Chiesa irachena non commenta l’esecuzione dell’ex raìs, ma invita di nuovo il mondo a “pregare per il Paese, così provato”. Iracheni all’estero attendono in tv l’impiccagione, ma temono una “vendetta certa dai sostenitori di un presidente da sempre visto come un dio”.

Roma (AsiaNews) – “Continuare a pregare per la pace in tutto il mondo  e oggi in modo particolare ancora per l’Iraq”. È l’invito del vescovo ausiliare dei caldei di Baghdad, mons. Shlemon Warduni a poche ore dall’esecuzione capitale di Saddam Huseein. Al di là dei risvolti politici di questa morte, il presule tiene a sottolineare come ciò che più preme alla Chiesa in queste circostanze è sottolineare “il necessario rispetto della persona, così come Dio l’ha creata”. Mons. Warduni invita di nuovo “il mondo a pregare per il bene comune ma soprattutto dell’Iraq, oggi così provato”.

 

Il timore che l’impiccagione dell’ex raìs non porterà “nulla di buono al Paese” è diffusa anche tra i cristiani iracheni in Europa. Essi sono convinti che “prima o poi sarà chiesta vendetta della morte di Saddam”.  AsiaNews ha raccolto da Olanda, Italia e Svezia le voci di iracheni che con oggi vedono aprirsi “un’altra pagina di violenza in Iraq”. La diaspora cristiana sostiene in pieno la posizione espressa oggi dal direttore della Sala Stampa vaticana per cui l’impiccagione di Saddam è “una notizia tragica”. P. Federico Lombardi ha infatti dichiarato alla Radio Vaticana che “ogni esecuzione capitale è motivo di tristezza anche quando si tratta di una persona che si è resa colpevole di gravi delitti”. E infine: “L’uccisione del colpevole non è la via per ricostruire la giustizia e riconciliare la società vi è anzi il rischio che al contrario si alimenti lo spirito di vendetta e si semini nuova violenza”. Infine p. Lombardi auspica che “in questo periodo oscuro per la vita del popolo iracheno tutti i responsabili facciano davvero ogni sforzo perché nascano piccoli semi di speranza di riconciliazione e di pace”.

 

Una donna ad Amsterdam ricorda quanto spietato fosse il dittatore che “nel suo primo giorno di governo ha decretato la condanna a morte di 25 persone”. Ma pur non dimenticando le colpe di Saddam, la comunità irachena all’estero ritiene che la decisione di ucciderlo “non porterà la pace in Iraq”.

 

Anche la comunità irachena negli Stati Uniti – per lo più cristiani e sciiti - è concorde su questa posizione. Da Phoenix in molti riferiscono di essere rimasti davanti alla Tv e ai computer aspettano l’impiccagione di chi ha segnato una “storia di distruzione per il Paese”. Ma allo stesso tempo c’è rabbia, perché Saddam “non ha reso conto di tutti gli altri crimini commessi anche contro assiri e curdi” e il timore che ora la sua uccisione lo trasformi in un martire agli occhi dei suoi sostenitori”. “Questa gente – commenta un uomo sciita – ha continuato a vedere l’ex presidente come un dio, ora hanno ammazzato il loro dio e ne chiederanno vendetta”. “La paura più grande – confidano infine fonti di AsiaNews – è che se mai arriverà, questa vendetta non farà distinzione tra popolazione e governo e potrebbe colpire indistintamente autorità e civili innocenti”.

 

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