25/08/2023, 13.39
MYANMAR-BANGLADESH
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'Sei anni dopo i Rohingya non siano dimenticati'

di Steve Suwannarat
Nell'anniversario delle stragi compiute dai militari birmani nell'agosto 2017 in centinaia di migliaia restano abbandonati nei campi per rifugiati. L'Alto Commissario per i diritti umani Volker Türk: "Si amplino i programmi di ricollocazione e protezione temporanea".
Bangkok (AsiaNews) - Sei anni fa in Myanmar i militari sostenuti da una parte consistente dell’opinione pubblica nonostante la guida carismatica della premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, avviavano la più consistente ondata persecutoria contro i Rohingya.

Etnia musulmana, senza di nazionalità in quanto ritenuti eredi di immigrazioni illegali da quello che oggi è il Bangladesh, a centinaia di migliaia furono costretti nelle settimane successive a sfuggire ai rastrellamenti e alle violenze dei militari e ai roghi che devastarono molte comunità con manifestazioni di una brutalità che hanno portato a definire l’azione delle forze armate come vero e proprio genocidio

. Le fonti locali, raccolte e selezionate da più organizzazioni e sistematizzate in rapporti internazionali che poco lasciano ai dubbi, indicano come furono 10mila gli uomini e donne di ogni età e persino i neonati a perdere la vita. Questo e la distruzione di almeno 300 villaggi costrinsero 700mila Rohingya a rifugiarsi soprattutto oltre il confine dello Stato occidentale di Rakhine dove vivevano in maggioranza, in Bangladesh che già ospitava almeno 200mila Rohingya vittime di passate persecuzioni.

Questo ha portato la maggior parte dei membri di questa etnia a vivere oggi al di fuori del territorio originario, a una diaspora ulteriore verso altri Paesi ritenuti ospitali e a circa 100mila individui rinchiusi in campi all’interno del territorio birmano, in sostanziale segregazione e con il rischio costante di aggressioni da parte di gruppi nazionalisti e buddhisti.

L’odissea di questa popolazione è tutt’altro che conclusa e il futuro non presenta al momento alcuna possibilità di un rientro o di una massiccia ricollocazione altrove. Il governo di Dhaka fatica a gestire l’enorme massa di profughi che vivono ammassati in strutture precarie prossime al confine che hanno attraversato in fuga, con bande malavitose locali e network internazionali del traffico di esseri umani che approfittano di ogni possibilità per sfruttarne necessità e disillusione.

Mentre un rientro è bloccato al momento anzitutto dalla mancanza di un riconoscimento formale della loro cittadinanza birmana, che implicherebbe per loro documenti certi, diritti di residenza e di tutela nei territorio del Myanmar, la parziale ricollocazione in altre aree del territorio del Bangladesh che allenterebbe la pressione nei centri primari di raccolta avanza a rilento ed è sottoposta a critiche di organizzazioni internazionali che temono porti a una sostanziale reclusione e, di fatto, alla fine di qualsiasi speranza per i giovani cresciuti nei campi.

Da qui anche l’appello lanciato oggi dall’Alto Commissario Onu per i Diritti umani, Volker Türk: “Davanti a crisi concomitanti la comunità internazionale non deve dimenticare la popolazione rohingya o le comunità che la ospitano in Bangladesh. L’appello umanitario a sostegno dei Rohingya, sia in Myanmar, sia nei campi in Bangladesh, ha bisogno di maggiori sostegni e finanziamenti. Allo stesso tempo Paesi terzi dovrebbero ampliare i programmi di ricollocazione o di protezione temporanea, soprattutto all’interno della stesso ambito regionale. Allo stesso modo, la comunità internazionale deve raddoppiare il proprio impegno per invertire la rotta del Myanmar e per assicurare responsabilità e giustizia”.
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