Sumud Nusantara: la ‘flotilla asiatica’ che vuole soccorrere la gente di Gaza
Nella notte l’attacco di un drone a una delle imbarcazioni al largo delle coste tunisine. Sospetti su Israele. All’iniziativa internazionale della Global Sumud Flotilla, simbolo di “resilienza” come indica il nome in arabo, hanno aderito una decina di nazioni dell’Asia. Attivista filippino: importante mostrare “la nostra solidarietà”.
Milano (AsiaNews) - Un attacco portato da un drone militare nella notte contro una delle barche della Global Sumud Flotilla (Gsf) - la “Family Boat” a bordo della quale vi è anche l’ambientalista svedese Greta Thunberg - ha riacceso i riflettori sull’iniziativa globale che vuole rompere l’assedio a Gaza. A fronte delle dichiarazioni ufficiali della marina di Tunisi (l’incidente è avvenuto al largo delle coste del Paese nord-africano), vi sono immagini diffuse dagli attivisti che mostrano il momento in cui viene sganciato l’ordigno. Il mezzo ha riportato danni consistenti, il ponte avrebbe preso fuoco e i sospetti sono indirizzati verso il governo israeliano - pur in mancanza di prove consistenti - anche in considerazione delle minacce lanciate la scorsa settimana dal ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben Gvir. Ciononostante, l’attacco non è servito a fermare la flotta internazionale composta da una cinquantina di imbarcazioni: uno schieramento nutrito in rappresentanza di 44 nazioni al mondo, al cui interno vi è anche una consistente delegazione asiatica, dalla Malaysia alle Filippine, dal Bangladesh al Nepal.
Simbolo globale di resilienza
La missione globale in aiuto a Gaza, a rischio fame dopo quasi due anni di guerra lanciata da Israele contro Hamas in risposta all’attacco del 7 ottobre 2023, con l’assedio in atto nella Striscia e l’operazione di terra in corso, vuole essere una risposta ai bisogni enormi della popolazione. In partenza da tutto il Mediterraneo (e dall’Asia), la Global Sumud Flotilla rappresenta il più vasto tentativo navale internazionale sinora mai realizzato per rompere l’assedio dello Stato ebraico e cercare di far entrare cibo e generi di prima necessità nella “prigione a cielo aperto”. La missione trae il proprio nome da una parola araba (Sumud) che significa “resilienza, perseveranza, fermezza” che sono il simbolo della lotta per la sopravvivenza di una comunità martoriata dal conflitto. E, per gli stessi palestinesi, vuole essere anche la rivendicazione del diritto a “vivere nella propria terra” come racconta l’attivista malaysiano Muhammad Nadir al-Nuri, fra i membri dello Steering Committee Flotilla: “Nel nostro Paese - spiega - abbiamo una parola in tutto simile a ‘sumud’ che sta a indicare le formiche, che ben raccontano come ci stiamo muovendo oggi: una piccola colonia di formiche, orgogliose, che lavorano e avanzano assieme”.
Il comitato direttivo della Global Sumud Flotilla è formato da realtà diverse a livello mondiale: esse sono il Global Movement to Gaza, Freedom Flotilla Coalition, il Maghreb Sumud Convoy e Sumud Nusantara. L’obiettivo dell’operazione, improntato alla non-violenza come strategia operativa, è quello di spezzare l’assedio navale di Israele, sostenere in modo concreto con aiuti umanitari la popolazione, denunciare il genocidio in corso, oltre alla complicità e all’inazione dei governi internazionali. Il tentativo in atto non è certo il primo nella storia recente, pur essendo il più imponente e partecipato. L’episodio più famoso, e controverso anche perché concluso in un bagno di sangue, è quello risalente al maggio 2010 portato dalla Mavi Marmara sfociato in un attacco da parte dell’esercito israeliano con un bilancio finale di 12 morti fra i membri dell’equipaggio. In seguito si ricordano i tentativi di spezzare l’assedio alla Striscia nel 2011, nel 2015 e l’ultimo di una certa complessità nel 2018. Più di recente, in questi due anni di guerra a Gaza, si sono registrati i tentativi di piccole imbarcazioni - la Handala e la Madleen - che, a distanza di pochi mesi hanno cercato di portare aiuti ma la missione si è conclusa con arresti, deportazione dell’equipaggio e sequestro dell’imbarcazione.
La solidarietà dell’Asia
All’interno della missione globale pro-Gaza si registra anche una rappresentanza asiatica ribattezzata Sumud Nusantara, un convoglio che vede la partecipazione di attivisti dalla Malaysia e altri nove Paesi del continente: Filippine, Indonesia, Maldive, Bangladesh, Bhutan, Thailandia, Sri Lanka, Nepal e Pakistan. Anche per la delegazione asiatica, salpata dalla Malaysia il 23 agosto scorso, lo scopo primario è consegnare forniture critiche e generi di prima necessità tra cui cibo, attrezzature mediche e altri beni primari a una popolazione che affronta gravi crisi umanitarie. A causa del maltempo, peraltro, l’imbarcazione è stata costretta a una sosta temporanea il 2 settembre, per poi riprendere la rotta verso il Mediterraneo il giorno successivo. Tuttavia, una nuova tempesta ha causato danni materiali e la dispersione di parte del carico nelle acque dell’oceano, oltre a generare problemi al funzionamento del sistema di ricarica dei mezzi di comunicazione. Da qui la decisione di proseguire verso una nuova destinazione temporanea, per la risoluzione dei problemi provocati dal maltempo e scongiurare possibili episodi di sabotaggio senza una adeguata strumentazione a bordo. Al riguardo Zulfadhli Khiruddin, del Malaysian Islamic Organisations Consultative Council (Mapim Malaysia), uno dei 15 rappresentanti del Paese, esorta i concittadini a pregare per la sicurezza della squadra e il successo della missione.
Verso fine agosto, alla vigilia della partenza, gli attivisti asiatici si sono riuniti a Kuala Lumpur per partecipare a una cerimonia inaugurale in cui era prevista anche la presenza del primo ministro della Malaysia Anwar Ibrahim. Fra le personalità del continente famose per l’impegno sociale e umanitario vi è il filippino Drieza Lininding, leader del gruppo Moro Consensus Group; l’attivista confida nell’esempio fornito dalla Global Sumud Flotilla, perché ispiri altri nella nazione a maggioranza cattolica a mostrare il loro sostegno alla Palestina, laddove la popolazione è a larga maggioranza musulmana pur con una storica presenza cristiana. Intervistato da Arab News, egli ha spiegato che “stiamo facendo appello a tutti i nostri fratelli e sorelle filippini, musulmani o cristiani, per sostenere la causa palestinese perché questo problema non riguarda solo la fede, ma l’umanità stessa. Gaza - aggiunge - è ora diventata la bussola morale del mondo”. “Tutti stanno vedendo il genocidio e la fame a Gaza, e non è necessario essere musulmani per schierarsi coi palestinesi. Se vuoi essere dalla parte giusta della storia, sostieni tutti i programmi e le attività per liberare la Palestina ... È molto importante - conclude - che come filippini mostriamo la nostra solidarietà”.
La missione indonesiana
Alla missione internazionale di 44 nazioni ha aderito anche l’indonesiano Aqsa Working Group (Awg) fornendo quattro volontari e sostegno logistico. Rifa Berliana Arifin, direttore nazionale per l’Indonesia di Sumud Nusantara e membro del gruppo con sede a Jakarta, ha sottolineato l’importanza di un’azione globale guidata e promossa da civili. “La diplomazia tradizionale - spiega - non è riuscita a fermare le atrocità a Gaza”. “Questa flottiglia è una testimonianza di solidarietà globale. Le barche - prosegue - trasportano solo aiuti umanitari e attivisti disarmati, mostrando al mondo la dura realtà che i palestinesi affrontano ogni giorno”.“Questa non è solo una nave. È una flotta. Un simbolo di sfida globale contro il sionismo internazionale” una aggiunto Muhammad Anshorullah, Awg Presidium Chair. La partecipazione dei volontari Awg, insieme a dozzine di attivisti indonesiani, sottolinea il continuo impegno dell’organizzazione a sostenere i diritti palestinesi e la liberazione di al-Aqsa, con una connotazione che riveste anche una componente confessionale di matrice islamica.
“Questo movimento giunge in un momento cruciale” per una serie di criticità in atto che vanno “dalla mancanza di cibo, all’impatto della guerra, la fame” spiega il giornalista indonesiano Nurhadis alla vigilia della partenza. “Israele - accusa - sta usando la fame come arma per spazzare via i palestinesi a Gaza. Questo è il motivo per cui continuiamo ad affermare che ciò che sta facendo è genocidio”. “Il Gsf è un movimento guidato dalle persone che mira ad aiutare a porre fine al genocidio a Gaza” riprende Arifin, e l’Indonesia vi prende parte perché “questo è un movimento enorme. Un movimento che aspira a porre fine al blocco attraverso mezzi non tradizionali. Abbiamo visto quanto siano stati inefficaci gli approcci diplomatici e politici, perché il genocidio a Gaza deve ancora finire. Questo movimento del potere popolare mira a porre fine a questo” ha concluso il direttore nazionale. “Questa è una missione non violenta […] non hanno armi. Stanno semplicemente portando loro stessi... perché il mondo veda”.
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