20/12/2010, 00.00
MYANMAR
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Tint Swe: “Il mondo è stanco delle dittature, anche di quella birmana”

di Tint Swe
Il grande dissidente birmano sottolinea il ruolo di Aung San Suu Kyi nella costruzione della democrazia in Birmania e avverte i militari: “Siete fuori dalla storia del mondo, Pechino e Delhi non rimarranno a guardare”.

New Delhi (AsiaNews) – Cina e India “non possono tollerare una dittatura ai propri confini” e la giunta militare birmana “deve fare i conti con la richiesta di democrazia interna, che aumenta di giorno in giorno”. È quanto scrive ad AsiaNews il dottor Tint Swe, dissidente di peso contrario ai militari birmani, che dall’esilio indiano spiega i meccanismi post-elettorali e la nuova situazione geopolitica della regione.

Tint Swe è membro del Consiglio dei ministri del governo di coalizione nazionale dell’Unione della Birmania (NCGUB) composto da rifugiati dal Myanmar dopo le elezioni del 1990 vinte dalla Lega nazionale per la democrazia, e mai riconosciute dalla giunta. Fuggito in India nel 1990, dai 21 dicembre 1991 Tint Swe vive a New Delhi, e ha il ruolo di responsabile per l’informazione sull’Asia del Sud e Timor Est nel Consiglio.

Secondo la roadmap dei governanti militari birmani, la cosiddetta “democrazia disciplinata” sta per finire: in un mese, al massimo due, dovrebbe infatti iniziare una nuova sessione parlamentare. Ma perché continuiamo a parlare di democrazia in Myanmar?

Alcuni governi, come quelli dell’Asean, e diverse popolazioni hanno accolto con favore le elezioni del 7 novembre, che sarebbero un passo nella giusta direzione. Alcuni osservatori si sono emozionati per pochi seggi assegnati ai partiti etnici. Ma i militari hanno già scritto alcune regole, che riguardano cosa fare e cosa non fare, che saranno imposte al Parlamento e ai ministri, comunque nominati dai generali. Sarà simile all’incontro nazionale dal quale due membri etnici del presidio furono costretti all’esilio: alcune persone contestarono quell’elezione e cercarono un vero spazio politico. Sono finiti nel Mar Nero.

Altre persone vedono nel rilascio di Aung San Suu Kyi un raggio di speranza per la democrazia e la riconciliazione nazionale. Parlando in maniera generale, dopo il rilascio della Signora la popolazione birmana è stata dipinta a metà strada verso la democrazia. Questo non significa per forza che dovranno camminare per l’altra metà, aspettando altri due decenni. Questa fase, secondo la stessa Aung San Suu Kyi, avrà il passo del 21esimo secolo.

La questione sullo status della Lega nazionale per la democrazia potrebbe avere già adesso una risposta. Ufficialmente essa non esiste, ma sul territorio è molto attiva. Dato che il movimento ha 20 anni di vita, ha bisogno di sangue nuovo e strategie fresche, così come nuovi alleati. Aung San Suu Kyi continua a lavorare senza tregua, parlando in maniera instancabile. Dal mondo esterno, sembra che nessun Paese amico lascerà indietro la Lega.

È incoraggiante che l’India, come spiega un analista della London University, non tratti più soltanto con la giunta ma anche con la Signora e forse con altre personalità. I media indiani stanno facendo un lavoro mastodontico. La società civile birmana, in special modo a livello accademico, è piena di vita. Tutto questo porterà a una formulazione politica, ma questo è per ora soltanto un desiderio per il popolo birmano.

Durante una serie di incontri sulla Birmania che si è svolta a Delhi, si è capito come gli osservatori indiani siano impazienti di vedere la nascita di una nuova istituzione, il Parlamento. Alcuni si fidano persino dei seggi ottenuti dai Partiti etnici. Ma tutti i ministri saranno nominati dai militari, e il Parlamento ripeterà l’esperienza della convenzione nazionale che ha scritto la Costituzione. Ci sono già delle regole su cosa fare e non fare per i parlamentari, e lo spazio politico per i Partiti (esclusi quelli della giunta militare) sarà pari a un metro quadrato.

La Lega nazionale è stata criticata per una “mancanza di democrazia interna”, ma chi la critica ignora o non sa che i membri del partito hanno seri problemi a viaggiare e a riunirsi. Il vincitore delle elezioni, il Partito per la solidarietà nazionale e lo sviluppo, non è un vero Partito politico. Non può essere paragonato al Partito comunista cinese o al Partito d’azione popolare di Singapore. A prima vista sembra un agglomerato di civili di varia estrazione e con varie occupazioni: primo ministro, ministro, comandante, uomo d’affari e violenti con lo scopo di picchiare e uccidere Aung San Suu Kyi e tutti i dissidenti.

Un analista ha detto che tutto il lavoro è rimasto sulle spalle di Aung San Suu Kyi, costretta a una sorta di one-man-show, ma sbaglia. Il machiavellismo è reale quanto le relazioni internazionali. La richiesta birmana per la democrazia è un tipo di richiesta che ha bisogno di leader dinamici. Oltre alla riconciliazione nazionale ha bisogno di un leader credibile. Nessun altro avrebbe potuto recitare il ruolo di Gandhi o di Nelson Mandela.

In India esiste un gruppo – l’Iniziativa della Baia del Bengala per il maggior coinvolgimento internazionale – che pensa di poter calmare il regime birmano attraverso un maggior peso mondiale dello stesso. Ma i militari birmani sono diversi da ogni altro esercito della regione. Le aspettative occidentali secondo cui gli ufficiali del regime che hanno studiato fuori dal Paese possano un giorno cambiare la situazione è semplicemente una speranza.

Il prossimo, possibilmente l’ultimo, passo verso la democrazia è già in atto: nuove idee e nuove iniziative dall’interno chiedono nuove politiche nel Paese e un nuovo approccio riguardo al mondo. È innegabile che la Cina stia sfidando non soltanto la regione, ma il mondo intero. La storia ha permesso che questo avvenisse. Ora nessuna nazione può resistere o bilanciare il mondo da sola. Per questa missione impossibile, tutti guardano alla posizione strategica del Myanmar.

Durante la Guerra Fredda, il generale Ne Win ha usato la carta Est-Ovest per rimanere al potere 26 anni. Questa giunta militare ha usato la carta India-Cina per sopravvivere negli ultimi 22 anni. Ma la popolazione birmana vuole essere amica, allo stesso modo, di indiani e cinesi. E i recenti incontri fra i leader delle due nazioni asiatiche sono un buon segnale per la Birmania. Indica che non esiste una Guerra Fredda regionale, non in questo secolo.

La Cina sta diventando un interprete internazionale maturo e l’India sta per assumersi maggiori responsabilità globali: entrambe potrebbero non essere tanto felici con una dittatura o una cosa che le somigli fra i loro confini. Allo stesso tempo, il generale birmano in carica è occupato a pulire la propria casa. Il suo obiettivo non va oltre la Birmania. Ma il mondo non può aspettare ancora per molto.

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