14/03/2022, 12.44
GIAPPONE
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Tokyo apre la partita sull'aumento dei salari

di Guido Alberto Casanova

Dopo 30 anni di stasi nelle retribuzioni le rivendicazioni dei sindacati oggi hanno l'appoggio anche del governo Kishida che in campagna elettorale aveva invocato un "nuovo capitalismo". Primi sì dalle aziende del settore automobilistico. Ma gli interventi si orienterebbero più su bonus annuali che su interventi strutturali e taglierebbero fuori i lavoratori atipici, che sono ormai il 36,7%.

Tokyo (AsiaNews) - Nel mondo del lavoro giapponese marzo vuol dire shuntō (traducibile come “offensiva di primavera”), ossia il periodo delle negoziazioni aziendali per l’aumento dei salari. Eppure, nonostante questa consolidata tradizione, negli ultimi 30 anni i le retribuzioni dei lavoratori giapponesi sono rimasti piatti in termini reali. Quest’anno, però, i negoziati primaverili stanno avvenendo in un clima diverso rispetto agli anni passati.

“I salari non hanno tenuto il passo della crescita della produttività, ed è difficile dire che siano stati ripartiti tra i lavoratori in modo equo” ha detto Yoshino Tomoko, la segretaria generale della più importante confederazione sindacale del Giappone nota come Rengō. Rimarcando all’inizio della stagione negoziale come i salari del Paese siano tra i più bassi del mondo sviluppato, Yoshino aveva invitato i sindacati della propria confederazione a far pressione per un aumento delle paghe più consistente. L’obiettivo dichiarato dell’organizzazione è raggiungere un aumento complessivo dei salari del 4%.

L’obiettivo è condiviso dal governo guidato da Kishida Fumio, che durante la campagna elettorale dello scorso ottobre ha proposto un “nuovo capitalismo” che facesse dell’aumento dei redditi il proprio motore della crescita economica. Tokyo ha infatti proposto nuovi incentivi fiscali per incoraggiare le imprese che intenderanno alzare i salari dei propri dipendenti, nonostante alcuni osservatori abbiano espresso scetticismo riguardo agli effetti e all’impatto della manovra.

Tuttavia, l’aumento dell’inflazione potrebbe dare una spinta alle domande dei lavoratori giapponesi. Dopo anni di inflazione vicina allo zero, nel 2022 gli aumenti dei prezzi hanno toccato l’1,1%. Non una cifra astronomica, ma forse sufficienti a dare maggior vigore alle domande dei sindacati. L’anno scorso, infatti, gli aumenti ottenuti erano stati del tutto erosi dall’aumento dei prezzi.

Il primo settore ad aver risposto a questi stimoli è stato quello dell’auto, storicamente influente per le negoziazioni dello shuntō. Toyota, Nissan e Honda hanno già annunciato di voler acconsentire alle richieste di aumenti formulate dai propri sindacati aziendali. Altre aziende attive nel settore dell’elettronica, come Hitachi e NEC, stanno ancora valutando come rispondere alle proposte sindacali e una risposta dovrebbe arrivare in settimana.

Tuttavia, gli aumenti annunciati per ora si stanno rivelando inferiori alle attese. Non tanto per consistenza, dato che diverse aziende hanno deciso di aumentare sostanzialmente i salari, quanto piuttosto perché gli aumenti sembrano concentrarsi più sui bonus annuali che sui salari di base. Data l’incertezza che affligge l’economia globale dopo lo scoppio della guerra in Ucraina, questi aumenti non consolidati potrebbero essere rivisti in futuro.

Il Giappone è in una fase estremamente delicata del proprio percorso di sviluppo. Gran parte delle aziende non riesce a trovare abbastanza lavoratori e, mentre la crisi demografica incalza, spesso piccole attività sono costrette a chiudere. Decenni di deflazione e un sistema normativo che privilegia l’impiego a vita hanno contribuito a creare una mentalità avversa agli aumenti salariali, nonostante in anni recenti i profitti aziendali abbiano toccato livelli record. La crescente polarizzazione tra lavoratori con contratto indeterminato e lavoratori con contratti atipici poco protetti è poi l’altro grande problema: oggi 36,7% dei lavoratori (soprattutto donne) sono costretti a questa condizione precaria e i negoziati per gli aumenti delle paghe ora in corso non portano benefici tangibili a questa categoria vulnerabile. Recuperare questi cittadini e cittadine dall’esclusione socio-economica sarà una delle grandi sfide del Giappone nei prossimi decenni, a prescindere dai piani di Kishida.

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