12/12/2007, 00.00
SRI LANKA
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Un "secondo tsunami" sui pescatori dello Sri Lanka

di Melani Manel Perera
Lo denunciano alcune organizzazioni impegnate nella difesa di questa categoria, tra le più emarginate del Paese. Le politiche di sviluppo del governo, che privilegia l’industria del turismo e stipula accordi con grandi compagnie straniere per lo sfruttamento delle acque, ha gettato i piccoli pescatori sull’orlo della miseria. E mentre si costruiscono superstrade e alberghi, migliaia di famiglie vivono ancora in abitazioni provvisorie.
Colombo (AsiaNews) – Un "secondo tsunami" sta colpendo la categoria dei piccoli pescatori in Sri Lanka, tra le comunità più emarginate del Paese. Dopo l’onda anomala del 26 dicembre 2004, su di loro si sta abbattendo l’indifferenza delle autorità, i ritardi della burocrazia, gli interessi delle multinazionali della pesca e dell’industria del turismo. Sulle coste devastate tre anni fa ancora migliaia di persone vivono in rifugi provvisori, mentre il governo costruisce autostrade, alberghi e si progettano porti commerciali.
 
In passato diverse Ong e la stessa Chiesa hanno denunciato la “tragica” situazione, ma in molti ormai hanno abbandonato le loro battaglie. Anche chi era sul campo, impegnato nella ricostruzione, in quest’ultimo anno ha lasciato l’isola nell’impossibilità di ricevere i permessi e la terra edificabile. Tra le realtà che continuano a dar voce alle istanze dei pescatori in Sri Lanka vi sono la National Fisheries Solidarity (NAFSO) e a livello internazionale, il World Forum of Fisher People (WFFP).
 
I programmi post-tsunami studiati da Colombo prevedono l’applicazione di un pieno sistema di libero mercato e una forte promozione dell’industria turistica. a scapito appunto delle comunità costiere, che si sono ritrovate di nuovo “sfollate”. La legge impone infatti alle abitazioni una distanza di almeno 300 metri dalla costa, condizione che causa una serie di costi aggiuntivi su trasporti, carburante e attrezzature, pesanti da sostenere. Colpo di grazia alle entrate della categoria sono state: la concessione alle grandi ditte ed imbarcazioni straniere dello sfruttamento delle acque srilankesi sotto forma di joint venture con il governo; l’aumento delle Exclusive Economic Zone (EEZ, zone dove uno Stato gode di speciali diritti sull’esplorazione e l’utilizzo delle risorse marine); la crescita dell’importazione di pescato dai Paesi della regione, che ha contribuito ad abbassare i prezzi del pesce e posto i pescatori locali in condizioni di concorrenza impossibile da superare.
  
L’industria ittica in Sri Lanka si basa sia sull’acquacoltura che sulla maricoltura. In tutto il Paesi vi sono 200mila famiglie di pescatori. Di queste 150mila sono piccoli artigiani, altre 30mila sono dipendenti di grandi ditte, che lavorano in mare aperto sui grandi pescherecci ed altre 20mila dipendono dalle risorse delle acque interne. In tutto si ritiene che siano 700mila le persone che basano la loro sussistenza sulla pesca. Il consumo pro capite annuo di prodotti ittici è 14 Kg. 
 
Intanto solo a Colombo, la capitale, circa 1300 famiglie vivono ancora in abitazioni provvisorie, dopo aver perso la loro casa nello tsunami del 2004. Lungo le coste orientali, poi, la situazione è ancora peggiore: le autorità non assegnano i terreni edificabili e dopo anni di attesa molte Ong sono state costrette a lasciare il Paese senza portare a termine i progetti ideati.
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