07/09/2006, 00.00
LIBANO
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Vescovi maroniti: presidenza della Repubblica e armi di Hezbollah le questioni da risolvere

Mentre Israele annuncia la fine del blocco, il settimo appello dei vescovi analizza la crisi provocata dalla guerra e individua due dei principali problemi irrisolti. Sostegno allo Stato democratico, unica istituzione che può restituire fiducia e tranquillità alla popolazione.

Beirut (AsiaNews) – Occorre risolvere la questione della presidenza della Repubblica, per le gravi difficoltà che il rifiuto del presidente Emile Lahoud a dimettersi sta creando al Paese, ed è necessario che sia lo Stato, e non una fazione, a prendere le decisioni che coinvolgono l'intero Paese, compresa la pace, la guerra e la ricostruzione. Questi i punti centrali del settimo appello dei vescovi maroniti, reso noto ieri, che contiene anche un durissimo attacco al non nominato Hezbollah ed un aperto sostegno alle istituzioni dello Stato democratico, a partire dal Parlamento.

Nel giorno nel quale Israele, annunciando la fine del blocco aeronavale, ha ceduto alle pressioni internazionali e del governo di Beirut, facendo segnare a Fouad Siniora un importante punto a favore, i vescovi, al termine della loro riunione tenutasi a Bkerke sotto la presidenza del patriarca, il card. Nasrallah Sfeir, rivendicano l'unità dello Stato e la necessità che i 18 gruppi che compongono la nazione ne rispettino la sovranità. Più volte, notano, "potenze internazionali e regionali si sono ingerite ed hanno sostenuto l'una o l'altra comunità. E ogni volta, i gravi avvenimenti che sono stati prodotti in meno di mezzo secolo dall'unilateralismo di una comunità o di un gruppo di libanesi sono costati alla nazione la sua sicurezza, la sua prosperità ed il benessere dei suoi figli".

Il settimo – dal 2000 – appello dei vescovi analizza la profonda crisi che il Paese sta traversando per esortare il popolo ad unirsi per venire fuori dal momento difficile. Le questioni di Lahoud e di Hezbollah rientrano tra i motivi della crisi. Così è per il rifiuto del presidente della Repubblica di dare le dimissioni che gli chiede la maggioranza parlamentare, che gli imputa di essere stato confermato nella sua carica da una modifica alla legge voluta dall'allora occupante siriano. Senza entrare nel merito, i vescovi si limitano e sottolineare il fatto che la permanenza di Lahoud al vertice dello Stato sta provocando "un grave squilibrio" nelle istituzioni interne e un boicottaggio internazionale e chiedono ai libanesi di trovare una soluzione a tale problema.

La questione Hebollah è affrontata invece nel quadro della condanna dell'"unilateralismo" di alcuni gruppi libanesi e degli "assi" che alcuni hanno fatto con Paesi stranieri. "Un gruppo – scrivono – ha unilateralmente deciso di conservare il suo arsenale dopo la liberazione della maggior parte del sud del Libano, nel 2000, e ciò in contraddizione con gli accordi di Taeff, conclusi nel 1989. Questo gruppo si è trasformato in una organizzazione religiosa, militare e politica, che ha portato la guerra il 12 luglio 2006".

Della guerra l'appello ricorda le vittime, i danni materiali e l'emigrazione alla quale ha spinto tante persone, soprattutto tra i cristiani.

"Consolante" è invece, per i vescovi, il fatto che i libanesi "hanno fronteggiato l'aggressione e la crisi, la mano nella mano. Così, gli abitanti delle regioni risparmiate dai bombardamenti hanno accolto i loro fratelli libanesi di ogni comunità e ciò ha permesso alla fraternità interlibanese di esprimersi il meglio possibile". E' lo spirito col quale, per i vescovi, andrà ora affrontato il futuro, nel quale un ruolo particolare spetta allo Stato democratico.

Solo lo Stato, infatti, può "restituire fiducia e tranquillità" ai cittadini. "Bisogna che i libanesi si mettano bene in testa che niente li può salvare se non uno Stato forte, giusto, alla guida del quale si alternano uomini e donne dotati di istruzione e qualità morali e nazionali al di sopra di ogni sospetto".

 

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