16/11/2004, 00.00
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Vescovo di Kirkuk: "I terroristi 'resistono' al nuovo Iraq della democrazia"

di Lorenzo Fazzini
Mons. Sako in sintonia con il Papa: "Le elezioni di gennaio, l'inizio di un nuovo Iraq". È tempo che l'Europa, assente, si impegni nel Medio oriente.

Roma (AsiaNews) - Le elezioni di gennaio sono il "punto di partenza per il nuovo Iraq". L'Europa non può restare ancora "assente" dalla crisi irachena e deve smettere di "perdere tempo in interessi egoistici" perché "se il modello iracheno fallisce, sarà un disastro per tutto il mondo". È quanto afferma ad AsiaNews mons. Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk (nord dell'Iraq).

Mons. Sako, 56 anni,  afferma che "non c'è nessuna resistenza irachena in Iraq", anzi "i terroristi stranieri fanno 'resistenza' al nuovo Iraq", quello che il governo Allawi sta cercando di costruire con le elezioni di gennaio. "Uccidere donne e bambini è resistenza?" chiede mons. Sako, che punta il dito contro "la propaganda dei media occidentali", troppo vogliosi di mostrare quello che non va in Iraq, invece di dare voce agli iracheni che "sono contenti e aspettano il voto di gennaio".

Ecco l'intervista che mons. Sako ha rilasciato ad AsiaNews.

Dall'Iraq arrivano ogni giorno notizie di violenze, uccisioni e morte: mons. Sako, è questo il suo paese oggi?

Non tutto è morte e distruzione, ci sono tante cose positive in Iraq: le università funzionano, le scuole sono aperte, la gente esce per strada normalmente. È vero, quando c'è un rapimento o un omicidio, subito viene data la notizia, e questo crea paura tra la gente. Ma bisogna ricordarsi che per 35 anni, durante il regime di Saddam, gli iracheni hanno vissuto nel terrore e se oggi possono protestare o alzare la voce, è perché possono e sono liberi di farlo. Prima non c'era libertà, tutto era controllato: ora la libertà esiste, e ha un prezzo. Perché non c'è stata "resistenza" durante il regime di Saddam?

Attentati, autobomba e decapitazioni: è resistenza o terrorismo?

Uccidere donne e bambini è fare resistenza? Non c'è nessuna resistenza organizzata, sappiatelo: chi compie queste violenze fa "resistenza" agli iracheni che vogliono ricostruire il loro paese. Gli iracheni invece "resistono" al terrorismo e non fanno attentati che invece sono opera di infiltrati stranieri. L'ho ripetuto più volte: in Iraq sono entrati sauditi, giordani, siriani, sudanesi; l'ha detto anche il primo ministro Allawi. È chiaro che ci sono collaboratori iracheni, che per soldi nascondono i terroristi.

Che fare allora per uscire da questa crisi?

Lasciare che gli iracheni si gestiscano da soli: ora c'è un governo che sta preparando le elezioni, e chi vuole presentarsi alle elezioni può farlo, liberamente. E invece questi terroristi fanno attentanti e seminano strage: perché?

Glielo chiedo a lei…

Quella dei terroristi è una guerra senza scopo. Cosa vogliono? Un Iraq democratico, aperto, moderno? Allora si registrino per le elezioni, trattino con il nuovo governo e usino gli strumenti del dialogo.

Le elezioni di gennaio: impossibile utopia – come dicono tanti media occidentali - o strada per la rinascita dell'Iraq?

Sono sicuro: le elezioni saranno il punto di partenza per il nuovo Iraq. Ma i giornali e le televisioni occidentali fanno solo propaganda e disinformazione: gli iracheni sono contenti di avere le elezioni e le aspettano molto perché esse aiuteranno l'unità nazionale. Forse non tutto verrà fatto in maniera perfetta, ma con il tempo andrà meglio. Finalmente sarà data agli iracheni la possibilità di scegliere. Perché in Occidente oggi si fa tanto rumore e polemiche mentre prima, sotto Saddam, quando non avevamo elezioni libere, non si diceva niente?

I terroristi che si appellano all'islam sono musulmani veri?

No. In questo periodo del Ramadan - tempo per la riconciliazione, la conversione, la preghiera e la penitenza - loro sono stati impegnati a uccidere, decapitare, sporcare l'immagine dell'islam. La religione islamica non è questo, non deve essere questo.

Di recente i cristiani sono stati colpiti duramente in Iraq: perché queste bombe contro le chiese?

Forse perché i cristiani possono essere uno strumento di equilibrio nella società irachena e vogliono costruire un nuovo Iraq aperto, in cui i diritti di tutti vengano rispettati. Quella in Iraq non è una guerra di religione. E vorrei dirlo ai terroristi: non sono i cristiani quelli che bombardano Fallujah, noi siamo pacifici e per il dialogo. I cristiani sono in Iraq ben prima dei musulmani, non sono mercenari, hanno combattuto per l'Iraq nella prima guerra de Golfo e preso parte alla costruzione del paese.

Come hanno reagito i musulmani a queste violenze?

I veri musulmani iracheni hanno condannato gli attentanti contro i cristiani: la gente per la strada si domandava: "Perché attaccare le chiese? Perché? Non sono americane!".

Cosa fa l'Europa per l'Iraq?

L'Europa è assente, non si sente più, gli Stati Uniti sono soli. E invece l'Europa deve agire perchè gli europei conoscono il Medio oriente molto meglio degli americani, sono culturalmente più vicini agli arabi, conoscono il problema palestinese e la situazione in Medio oriente.

Ma perchè l'Europa non si coinvolge in Iraq?

L'Europa deve capire che non c'è tempo da perdere in interessi marginali o egoistici: il mondo intero ha bisogno di pace. Bisogna aiutare il Medio oriente a ritrovare la pace e far entrare i paesi musulmani nella società contemporanea, fondata sulla democrazia e libertà. Se il modello iracheno fallisce, sarà un disastro per tutti: questi gruppi terroristici saranno più forti in tutto il mondo.

Come dovrebbero agire l'Europa, e l'Italia in particolare, nella crisi irachena?

Dovete aiutare il governo iracheno a controllare le frontiere per non far entrare terroristi stranieri. Ma anche portare aiuti economici per favorire una cultura nuova, aperta alla convivenza, all'accettazione degli altri, al rispetto della persona umana e delle altre culture.

Cosa chiede ai cristiani occidentali?

Di pregare, non solo per noi cristiani, ma per tutti gli iracheni. Penso ai musulmani che non hanno potuto festeggiare questo Ramadan a causa delle violenze e degli attentati. Pregate per tutti: Dio può cambiare il cuore duro degli uomini.

Mons. Sako, lei è ottimista per il futuro del suo paese?

Sono cristiano e ho sempre speranza. È vero, c'è il problema della sicurezza, ma sono sicuro che la pace verrà, perché per la violenza non c'è futuro. Con il tempo tutto ciò che è negativo sparirà: ci vuole un po' di tempo, ma il futuro dell'Iraq è positivo.
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