16/03/2009, 00.00
INDIA
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Vescovo indiano: per sconfiggere il terrorismo bisogna promuovere giustizia e perdono

di Nirmala Carvalho
Per mons. Dabre, gli attentati di Mumbai e i pogrom anti-cristiani in Orissa: “espressione di una mentalità nichilista” che “colpisce gli indifesi e gli innocenti”. Insieme alla condanna delle violenze serve “un impegno specifico a livello politico ed educativo”. L’esempio di Giovanni Paolo II: determinato nella condanna del terrorismo e capace di perdonare il suo attentatore, Ali Agca.
Mumbai (AsiaNews) - Mons. Thomas Dabre, vescovo di Vasai e presidente della Commissione per la teologia e la dottrina della Conferenza episcopale indiana (Cbci), è certo che per rispondere ad un “fenomeno molto complesso” e “diabolico” come il terrorismo non c’è altra strada che “la politica del perdono”. Egli si rifà ad una frase di Giovanni Paolo II: “Non c’è pace senza giustizia e non c’è giustizia senza perdono” (Messaggio per la giornata mondiale della pace 2002). Questo deve essere il giudizio della Chiesa indiana sui ripetuti fatti di terrorismo che ormai da tempo segnano la vita del Paese.
 
Intervenendo ad un simposio dedicato alla dottrina sociale della Chiesa sulla civilizzazione e la pace, mons. Dabre ha affermato che l’ondata di violenze che ha colpito il Paese è “l’espressione di una mentalità nichilista” che “colpisce gli indifesi e gli innocenti” e che si manifesta come “rifiuto e distruzione della vita”.
 
Mons. Dabre ha ricordato gli attentati di Mumbai nel novembre 2008; le sette bombe sui treni della città nel 2006, che causarono la morte di oltre 200 persone, tra le quali 62 fedeli della diocesi di Vasai. A questi, ha affiancato i pogrom anti-cristiani in Orissa, gli attentati esplosivi di Malegaon e gli scontri tra indù e musulmani a Godhra,tutte violenze compiute in nome della religione.
 
Per il vescovo di Vasai non ci si può fermare alla semplice condanna di questi fatti. “Ciò che serve è un impegno specifico a livello politico ed educativo” per affrontare alla radice “le cause culturali e sociali del terrorismo”. Al centro della preoccupazione della Chiesa c’è la persona e l’affermazione della dignità di ogni vita umana. Per questo, ha affermato il vescovo, anche “la lotta la terrorismo deve essere combattuta nel rispetto dei diritti umani, dei principi morali e delle leggi”.
 
La sconfitta dei terroristi, che “considerano a vita umana come un oggetto di cui disporre a piacimento”, non è compito solo delle istituzioni, ma è una responsabilità a cui invitare tutti. Mons. Dabre ha criticato per questo i media di India e Pakistan che dopo gli attentati di Mumbai hanno contribuito ad “alimentare l’isteria”, “a irridere il vicino” e “a identificare le intere comunità, religiose e nazionali, con il credo dei terroristi”.
 
Per il vescovo di Vasai tutti hanno davanti agli occhi esempi in cui convivono fermezza e perdono. Mons. Dabre cita Giovanni Paolo II: deciso nell’affermare che “il terrorismo deve essere condannato nel modo più assoluto” e nello stesso tempo capace di visitare il suo attentatore Ali Agca, perdonandolo per quanto aveva compiuto.
 
La “promozione del perdono” deve essere un compito sentito soprattutto dalle comunità religiose. Per questo il vescovo ha indicato nel dialogo interreligioso uno strumento prezioso per riaffermare la cultura della pace, riscoprire il “senso di unità della famiglia umana” e favorire lo “spirito di solidarietà” che è alla base della convivenza tra le tante culture e tradizioni che popolano l’India.
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