28/09/2023, 10.18
SRI LANKA
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Vittime, feriti e traumi: Colombo contro il bullismo nelle università

di Arundathie Abeysinghe

Il governo e le autorità scolastiche decise a imprimere un giro di vite contro la pratica del “ragging”, diffusa negli atenei del Paese. Un fenomeno che causa migliaia di abbandoni scolastici ogni anno, ma i più fragili faticano a superare le violenze, fisiche e psichiche. La testimonianza ad AsiaNews di tre vittime che portano ancora oggi gli effetti invalidanti. 

Colombo (AsiaNews) - Blocchi stradali, vigilanza agli accessi e controlli serrati nelle università statali del Paese. Le autorità dello Sri Lanka hanno impresso un giro di vite contro il bullismo (ragging), che nel sub-continente indiano (Sri Lanka, India, Bangladesh e Pakistan) identifica il cosiddetto “rituale di iniziazione” all’ingresso degli istituti nel primo anno. Certo, i vertici degli atenei potrebbero invocare leggi specifiche come il Prohibition of Ragging and Other Forms of Violence in Educational Institutions Act numero 20 del 1998, ma finora non è bastato per arginare una pratica sempre diffusa. 

Il codice definisce il “ragging” un reato punibile per legge, anche perché può sortire effetti drammatici. Essa, infatti, non alimenta solo l’abbandono universitario di migliaia di studenti ogni anno come conferma Barana Jayawardena, presidentessa Futa (Federation of University Teachers Association). Nei casi peggiori, ne spinge alcuni - e non solo i più fragili - al suicidio perché incapaci di superare il trauma subito. Studenti riferiscono che in qualche ateneo vi sarebbero addirittura delle “camere di tortura” usate per la pratica, con esiti mentali e fisici gravissimi.

La questione è tornata alla ribalta di recente, allorché Corte suprema ha ordinato alle università e all’ispettore generale di polizia di presentare rapporti sugli episodi di bullismo e sulle indagini condotte in merito ai casi segnalati negli ultimi tre anni. La direttiva è stata impartita durante la discussione della denuncia di un laureando della facoltà di Management dell’università Sri Jayawardenepura, che il 5 marzo 2020 era stato vittima di un episodio durante una festa organizzata dagli studenti, con lesioni quasi mortali.

Charuni Ileperuma (29 anni), Prasanna Wijesekera (28) e Nimantha Punchihewa (26) sono originari di Mirijjawila, ad Hambantota, nella Provincia meridionale. I tre sono ex studenti della Ruhuna University e vogliono condividere con AsiaNews le violenze subite in passato, per le quali hanno sofferto negli anni successivi. “Noi (matricole) siamo stati portati in luoghi diversi dopo le lezioni e maltrattati per ore. Quando siamo andati al ristorante del campus per pranzare, gli anziani - racconta Charuni - ci hanno versato secchi di acqua puzzolente mescolata a rifiuti e siamo stati picchiati perché ci rifiutavamo di mangiare cibo contaminato”.

Il racconto prosegue con le violenze subite la notte, quando “siamo stati svegliati e mi è stato chiesto di strisciare su una sedia. Poiché ero bloccata all’interno della sedia e non riuscivo ad uscirne, mi hanno trascinata fuori. Ho urlato e ho perso conoscenza. Sono stata ricoverata in ospedale per diversi mesi. I medici mi hanno detto che le ossa erano danneggiate e sono costretto a letto. I miei genitori sono agricoltori e mia madre rimane a casa per prendersi cura di me, dato che sono invalida”. Anche Prasanna e Nimantha hanno subito abusi simili: sono saltati dal secondo piano del loro ostello e ora camminano con le stampelle. 

Secondo il ministro dell’Istruzione superiore Suren Raghavan “anche se si creano leggi e si prendono decisioni politiche, non si può raggiungere il risultato prefissato” senza la collaborazione di tutti gli attori in gioco, dai vertici degli istituti ai docenti, fino agli studenti stessi. “Negli ultimi otto mesi - prosegue - abbiamo lavorato alla creazione di un comitato nazionale anti-bullismo composto da 10 membri” che comprende rappresentanti governativi, attivisti pro- diritti umani, forze di polizia e del Comitato per la protezione dei testimoni. Perché, avverte, sarà essenziale “garantire protezione alle vittime”. Nishantha Samarasinghe, ex ufficiale di polizia, chiosa: “L’indulgenza delle autorità universitarie, la riluttanza delle vittime a presentare e portare avanti le denunce, la riluttanza dei testimoni e la mancanza di sostegno alle vittime da parte della direzione delle università sono ostacoli” nella lotta contro il ragging. E le caserme di polizia non incentivano le denunce perché spesso registrano i casi di bullismo come “reati minori”.

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