05/01/2009, 00.00
CINA
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Wen Jiabao promette riforme nella scuola per frenare la crisi economica

di Wang Zhicheng
Scuola dell’obbligo garantita per ricchi e poveri; scuole professionali per rispondere alle esigenze dell’industrie; migliori salari agli insegnanti; eccellenza nell’educazione terziaria per lenire la disoccupazione fra i laureati. Ma finora la Cina stanzia solo il 3,3% del Pil per la scuola. Altri Paesi, anche più poveri, investono fino al 6%.

Pechino (AsiaNews) – Il premier Wen Jiabao ha lanciato la proposta di una riforma del settore dell’educazione per migliorare le scuole rurali, quelle professionali e i salari degli insegnanti, per prepararsi ai problemi che la crisi finanziaria globale sta creando. Il piano dovrebbe estendersi dal 2009 al 2020 e dovrebbe garantire un uguale accesso per ricchi e poveri a 9 anni di scuola dell’obbligo, sviluppare le strutture scolastiche  anche nelle aeree rurali e garantire l’educazione ai figli dei migranti.

L’idea è contenuta in un discorso pronunciato da Wen lo scorso agosto al Consiglio di Stato, ma pubblicato solo oggi sul Quotidiano del popolo.

“L’educazione – ha detto Wen – prenderà una posizione importante mentre cerchiamo di mitigare l’impatto della crisi finanziaria globale sulla nostra economia… L’educazione è divenuta la pietra angolare del nostro sviluppo nazionale”.

Esponendo la sua visione, Wen ha tracciato 8 aeree in cui è necessaria la riforma:

-         uguaglianza nell’offerta della scuola dell’obbligo;

-         qualità dell’educazione rurale;

-         promozione delle scuole professionali;

-         eccellenza nell’educazione terziaria;

-         responsabilizzare gli studenti nell’auto-educazione;

-         educatori (non la burocrazia) quali responsabili delle scuole;

-         avere insegnanti ben preparati;

-         uso effettivo delle risorse assegnate

 

La riforma dell’educazione è attesa da tanto tempo, ma al di là delle parole finora si è fatto molto poco. Fra i problemi più cocenti vi è anzitutto la struttura dell’insegnamento, basata sul nozionismo, più che sul ragionamento. Vi è poi la grave mancanza di insegnanti nel mondo contadino, penalizzati dai salari bassi; la carenza di strutture e, dove esistono, la loro obsolescenza. Basti ricordare lo scandalo delle scuole nel Sichuan, dove sono crollati tutti gli edifici nella zona del terremoto, a causa di difetti di costruzione. Un altro problema è la povertà delle famiglie contadine, che preferiscono mandare a lavorare i figli in città, piuttosto che dare loro un’istruzione. Secondo fonti di AsiaNews almeno l’80% dei figli dei contadini lascia la scuola dopo il primo o il secondo anno.

La crisi finanziaria globale acuisce questi problemi e ne produce altri: ormai molti laureati – dopo aver passato pesanti esami e speso forti somme per lo studio -  rischiano di non trovare lavoro in un’industria sempre più colpita dalla recessione.

Un altro problema che si percepisce da tempo è la carenza di operai specializzati per le industrie del Guangdong e nel bacino di Shanghai. Le scuole professionali dovrebbero rispondere a questa esigenza, cercando di riqualificare milioni di lavoratori migranti che, a causa della crisi, stanno ritornando ai loro villaggi dove il reddito medio annuo è di circa 2000-2500 yuan (circa 200-250 euro).

Il problema più grave rimane l’indecisione della leadership a garantire fondi per l’educazione.

Dal 1995 la Cina ha varato una legge che garantisce al settore dell’educazione almeno il 4% del Prodotto interno lordo (altri Paesi, anche meno ricchi della Cina, stabiliscono fino al 6%). Finora però il budget annuale dello Stato ha sempre devoluto all’educazione solo cifre inferiori. Nel 2007 Pechino ha stanziato per la scuola solo il 3,3% del Pil.

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