21/03/2020, 08.00
M. ORIENTE - ISLAM
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Coronavirus, moschee chiuse e preghiere senza fedeli

In molti Paesi della regione mediorientale cancellata la preghiera comunitaria del venerdì. Vuoto lo spazio antistante la Kaaba alla Mecca. Chiusa la Moschea blu a Istanbul, la Cupola della roccia a Gerusalemme e la moschea Hassan a Casablanca. Ma c’è chi sfida l’epidemia: a Karachi luoghi di culto gremiti. 

Gerusalemme (AsiaNews/Agenzie) - Per arginare l’emergenza coronavirus, ormai diffusa in gran parte del Medio oriente, le moschee hanno interrotto la preghiera comunitaria del venerdì, uno dei riti più significativi e partecipati per il mondo musulmano. Una cancellazione generalizzata che non ha precedenti a memoria d’uomo e che conferma la gravità della situazione in un’area, ad eccezione dell’Iran, finora risparmiata dalla pandemia. Non mancano però le eccezioni, perché in alcuni - isolati - casi i fedeli hanno sfidato le ingiunzioni delle autorità per riunirsi e pregare. 

Alla Mecca, il luogo santo dell’Islam per eccellenza, lo spiazzo antistante la Kaaba di solito gremito di fedeli oggi era vuoto e silenzioso. Alla moschea al-Raihi di Riyadh si udiva solo la voce del muezzin che con il suo canto chiama alla preghiera. Assieme a lui un manipolo di collaboratori, ma nessun fedele quando, di solito, l’appello riunisce migliaia di persone. “La sensazione è indescrivibile” racconta il muezzin Nasser Mohammed, e i minareti “stanno piangendo”.

La Moschea blu di Istanbul, la Cupola della roccia a Gerusalemme e la moschea Hassan II a Casablanca hanno chiuso per la prima volta all’unisono i battenti. Del resto la rapida diffusione del coronavirus in Medio oriente ha spinto molti governi a bloccare le preghiere comunitarie e a mettere i sigilli ai luoghi di culto, per scongiurare pericolosi assembramenti e spingendo gran parte dei fedeli a pregare nelle case, al lavoro, nei parchi o nelle strade.  

Alcune moschee della regione hanno diffuso una versione alterata del richiamo alla preghiera, chiedendo alle persone di restare a casa secondo uno slogan ormai conosciuto in tutto il mondo. 

A Gerusalemme, dove la Cupola della roccia e la vicina al-Aqsa (terzo luogo santo per importanza dell’islam) erano chiuse, i leader religiosi hanno consentito l’accesso alla piazza in cui sorgono le due moschee. Alcuni fedeli hanno ingaggiato pesanti scontri con la polizia israeliana che cercava di limitare gli ingressi per evitare assembramenti. 

In Siria, schiacciata da nove anni di guerra, per la prima volta in un migliaio di anni è rimasta chiusa ai fedeli la Grande Moschea degli Omayyadi. A conferma che i timori per la diffusione dell’epidemia sono più forti delle violenze del conflitto. 

In altre parti del mondo, invece, dal Cairo a Mogadiscio passando per Karachi i fedeli hanno affollato le moschee, sfidando il virus e i divieti. Nella più affollata metropoli del Pakistan i luoghi di culto erano come sempre gremiti di persone, mentre gli imam urlavano dai microfoni: “Non siamo così deboli, da permettere al virus di svuotare le nostre moschee”. Nella capitale egiziana i luoghi di culto erano aperti, ma le autorità religiose hanno chiesto agli imam di accorciare i sermoni e le preghiere, chiedendo ai fedeli di recitare le preghiere da casa.

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