23/11/2011, 00.00
LIBANO
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Il patriarca maronita : no a spartizioni confessionali del Medio oriente

di Fady Noun
Mons. Bechara Raï ha invitato ancora una volta ad accogliere con prudenza la “primavera araba”. Il pericolo di conflitti interconfessionali, della nascita di regimi “ancora più duri” e della spartizione della regione su basi religiose. Mons. Caccia: la riapertura della sinagoga a Beirut una speranza per l’avvenire.
Beirut (AsiaNews) - Il patriarca maronita, mons. Bechara Raï, ha invitato ancora una volta ad accogliere con prudenza la « primavera araba », di cui ha detto di temere la possibilità che conduca “a conflitti interconfessionali, una transizione verso regimi ancora più duri e una spartizione della regione su basi confessionali”. Le osservazioni del Patriarca sono state fatte nel corso di un recente colloquio organizzato all’università del Santo Spirito, collegata all’ordine maronita libanese. Il colloquio si è svolto il 18 novembre alla presenza di alcuni membri del Parlamento europeo, dell’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, del Parlamento libanese e della Commissione delle Conferenze dei vescovi dell’Unione europea.

Il Patriarca, fra l’altro, ha detto che “…il Sinodo dei vescovi, convocato da sua Santità Benedetto XVI in Assemblea speciale per il Medio oriente dal 10 al 24 ottobre, ha confermato ….che la presenza cristiana in Oriente si capisce in termini di ‘comunione e testimonianza?. Ciò significa che non possiamo pensare al nostro avvenire al di fuori, al margine o contro le società in cui viviamo”. E ha continuato, nel messaggio, espresso in francese: “La comunione è un concetto teologico che significa l’unità nella diversità, che i cristiani sono prima di ogni cosa chiamati a vivere nell’amore in seno alla Chiesa, nell’immagine della santa Comunione trinitaria. Questo dimostra che le basi della nostra presenza in Oriente si trovano iscritte nel cuore della nostra fede, e non sono unicamente legate alle circostanze storiche e materiali di questa presenza o alla nostra propria scelta”.

Il patriarca ha poi spostato il discorso su un livello diverso. “In politica questa comunione si traduce in termini di identità nazionale comune, di cittadinanza e di partecipazione. Siamo di fronte alla sfida dei cambiamenti in corso in alcuni Paesi arabi. Questi sono l’espressione di un risveglio e di un impegno per un’identità nazionale comune; ma noi temiamo che questi cambiamenti possano condurre verso dei conflitti interconfessionali, a una transizione verso regimi più duri ancora e ad una spartizione della regione su basi confessionali. Non ci deve essere che un’identità nazionale condivisa, inclusiva di tutti gli apporti culturali, e che possa assicurare la base di un vivere insieme sereno e fruttuoso. I cristiani, con tutti i loro amici di qui e di altre zone, devono fare fronte a tutti i tentativi di definire i nostri Paesi o le nostre società in termini di identità religiosa. Dobbiamo opporci chiaramente all’islamismo esclusivo dell’identità dei nostri Paesi così come alla ebraicità di Israele. Apprezziamo qui la felice dichiarazione di Al- Azhar del mese di giugno scorso, che conferma che l’islam non afferma nessuna identità religiosa per lo Stato che non deve essere né religioso, né teocratico, ma laico, rispettando i valori religiosi fondamentali”.

Il patriarca ha poi parlato delle sfide lanciate alla testimonianza cristiana, e cioè della sicurezza, delle libertà fondamentali e del riconoscimento della diversità. “Noi sappiamo quanto la sicurezza è fondamentale per ogni vita individuale e collettiva…In questo contesto, vogliamo affermare che la sicurezza è un diritto di ogni cittadino, e che lo Stato deve farsene carico. Non si tratta dunque affatto di una protezione di una minoranza da parte di una maggioranza, ma di un diritto fondamentale comune a tutti, senza distinzione e senza discriminazione alcuna”. Ma fatti recenti hanno gettato un’ombra minacciosa su questo diritto: “Tuttavia, visto l’aspetto di intolleranza religiosa manifestato da certi avvenimenti sanguinosi e dolorosi, ripeto l’invito, già espresso dal vertice islamo-cristiano svoltosi al Patriarcato maronita il 12 maggio scorso, di tutte le autorità superiori musulmane e cristiane del Medio oriente di proclamare un documento storico che rifiuti tutti gli aspetti di guerra di religione e promuova la convivialità alla base della cittadinanza e dei diritti fondamentali dell’uomo”.

Mons. Bechara Rai ha poi aggiunto: “Quanto alle libertà fondamentali soffriamo talvolta di mancanza di sicurezza, e soffriamo egualmente, in qualche Paese della regione, di alcune forme di regime di sicurezza statale o sociale che opprimono le libertà fondamentali di coscienza, di culto o di espressione. Ora la libertà è l’ossigeno del cittadino e del credente, è talmente importante per noi che tutta la storia della Chiesa maronita si caratterizza per una lunga avventura di attaccamento e di difesa della libertà a prezzo di enormi sacrifici”.

“Il sinodo speciale per il Medio oriente ha trattato della questione delle libertà…L’Instrumentum laboris (n.36) distingue fra la libertà di culto e la libertà di coscienza. Le due forme conoscono limiti e ostacoli. La libertà di coscienza, cioè la libertà di credere o di non credere, di praticare una religione in privato o in pubblico, senza alcun ostacolo, e dunque la libertà di cambiare religione è ancora, con l’eccezione del Libano, ben lontana dall’essere garantita nelle nostre società ed è talvolta proibita dalla legislazione. Anche la semplice libertà di culto è talvolta indirettamente ostacolata dalle procedure difficili ed ingiuste per ottenere i permessi per la costruzione di luoghi di culto o per il loro restauro”.

Ma c’è una sfida ulteriore, indicata dal Patriarca maronita. “la terza sfida è quella del riconoscimento della diversità…Confessiamo che non è mai facile per un credente accoglierne un altro, nella sua diversità religiosa, come un elemento positivo nel suo spazio sociale e culturale, così come nel suo spazio interiore. Ora, la storia più che millenaria del vivere comune fra cristiani e musulmani nella regione ci insegna con la via del dialogo di vita che queste differenze irriducibili possono essere superate, e persino trasformate in fonte di arricchimento reciproco. Parlando precisamente di questa realtà, il Beato Giovanni Paolo II ha dichiarato che ‘il Libano è più di un Paese: è un messaggio di libertà e un modello di pluralismo per l’Oriente come per l’Occidente’. In questi tempi di sconvolgimenti e di ricerca della verità, la nostra speranza è di vedere il Libano assumere il suo ruolo di messaggio…Questa responsabilità passa per la lotta contro tutte le forme di fondamentalismo e di fanatismo o xenofobia”.

Il Patriarca ha poi concluso: “Non temiamo per la presenza cristiana in Oriente, perché noi crediamo che questa dipenda più dalla volontà di Dio che dalla nostra scelta. Sappiamo anche che lo scenario di un mondo arabo senza i cristiani sarebbe uno scenario catastrofico per l’Oriente e per l’Occidente. Perché questa sarebbe la fine dell’essere arabi come cultura plurale ed essa sarebbe inghiottita dalla cultura religiosa dell’islam. Né l’islam né l’Europa potrebbero sopportare una tale situazione”.

Al colloquio ha partecipato anche il Nunzio apostolico in Libano, mons. Gabriele Caccia, che ha confermato questa vocazione all’unità nella diversità del Libano, affermando: “Il Libano è un Paese piccolo, ma lo si può paragonare a un laboratorio. Il mondo diventa sempre più multiculturale, multietnico e multi confessionale. L’esperienza del Paese dei cedri ci consola e ci rinforza, perché dimostra che un mondo dove è rispettata la dignità umana, per le diverse tradizione culturali e che si basa sulla libertà religiosa e la libertà di coscienza non è solamente un sogno da augurarsi, ma una realtà possibile e in parte già realizzata”. E’ in questo senso che si può capire il restauro della sinagoga nel centro di Beirut come un segno eloquente di una speranza per un avvenire infine pacificato”.
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