25/08/2017, 13.03
MYANMAR
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Kofi Annan presenta il Rapporto sui Rohingya. L’esercito: ‘Difetti e carenze’

La “Rakhine State Advisory Commission” condotta da Kofi Annan chiede progresso sociale, cittadinanza, sicurezza e chiusura dei campi profughi i punti principali. I gruppi per i diritti umani accolgono il documento con favore. Aung San Suu Kyi aveva promesso di rispettare i suoi risultati. Il gen. Min Aung Hlaing, comandante in capo delle forze armate: “Suggeriamo di riesaminare i punti discussi,  individuare e apportare modifiche se vi sono errori e atteggiamenti sleali”. 

Yangon (AsiaNews/Agenzie) – A distanza di un anno dall’istituzione della “Rakhine State Advisory Commission”, Kofi Annan ha presentato ieri il rapporto finale della Commissione deputata ad investigare sulle violenze e le discriminazioni ai danni della  minoranza musulmana dei Rohingya. Sebbene il documento abbia incontrato il favore degli attivisti per i diritti umani, l’esercito critica il risultato dell’inchiesta.

“Il rapporto sul Rakhine contiene alcuni difetti e carenze”, ha affermato il gen. Min Aung Hlaing, comandante in capo delle forze armate del Myanmar, in un comunicato rilasciato oggi, al termine di un incontro ufficiale con Kofi Annan, avvenuto questa mattina a Yangon.

Lo Stato occidentale del Rakhine, uno dei più poveri del Paese, è da tempo una polveriera di settarismo. Il Myanmar, nazione a maggioranza buddista, ha affrontato una crescente condanna internazionale per il trattamento riservato ai Rohingya, considerati immigrati illegali dal Bangladesh. Presa visione del rapporto pubblicato ieri dalla Commissione, il generale dichiara: “I rapporti scritti  dovrebbero essere corretti e senza difetti. Suggeriamo di riesaminare i punti discussi,  individuare e apportare modifiche se vi sono errori di fatto e atteggiamenti sleali”.

Lo scorso anno, Kofi Annan, ex segretario delle Nazioni Unite, ha ricevuto dal consigliere di Stato birmano Aung San Suu Kyi l’incarico di condurre la “Rakhine State Advisory Commission”, con lo scopo di analizzare e trovare una soluzione alle divisioni che hanno infuocato la regione. Durante i 12 mesi, si sono tenuti colloqui nel Rakhine, a Yangon, in Bangladesh, Indonesia ed a Ginevra.

Nella sua relazione, la Commissione consiglia al governo del Myanmar di conseguire il progresso sociale, incoraggiando gli investimenti e garantendo servizi di base nel Rakhine. I punti principali includono la verifica della cittadinanza dei Rohingya, l'emissione di schede nazionali di registrazione, la riduzione delle tensioni e l’impegno per la riconciliazione attraverso colloqui bilaterali tra le comunità. Il documento cita anche la necessità della sicurezza alle frontiere, la cooperazione bilaterale con il Bangladesh e le attività anti-droga. Altro aspetto sottolineato è l’invito alla chiusura dei campi profughi, che sin dalle violenze del 2012 ospitano circa 120mila persone in condizioni di estremo disagio.

I gruppi per i diritti umani hanno accolto il rapporto come una pietra miliare per le rivendicazioni della comunità Rohingya, perché il governo di Aung San Suu Kyi aveva in precedenza promesso di rispettare i suoi risultati. L’amministrazione aveva osteggiato l’operato di qualsiasi commissione d’inchiesta a guida Onu, istituzione invisa ai birmani. Per un tale compito, la “Signora” aveva dichiarato di riporre fiducia nella sola persona di Kofi Annan, respingendo con forza le accuse di “pulizia etnica” di numerosi rapporti internazionali.

Il compito della Commissione è diventato sempre più urgente quando l'esercito birmano ha lanciato una sanguinosa repressione nel nord del Rakhine, dopo gli attacchi mortali ad alcune postazioni della polizia di frontiera da parte di un gruppo militante di Rohingya, nell’ottobre scorso. Da allora, più di 87mila Rohingya sono fuggiti in Bangladesh, riferendo di omicidi, stupri di massa e villaggi bruciati.

Gli esperti affermano che i risultati della Commissione Annan esercitano pressione sul governo di Aung San Suu Kyi. Tuttavia, il consigliere di Stato affronta la rigida opposizione dei nazionalisti buddisti, che chiedono l’espulsione dei Rohingya. Inoltre, è assai piccolo il controllo che Suu Kyi può esercitare sulle forze armate, dominante organo di potere in Myanmar.

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