06/06/2017, 12.36
QATAR - GOLFO - IRAN
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La crisi del Golfo fra Riyadh e Doha ultimo capitolo della guerra saudita all’Iran

Riyadh, Manama e il Cairo vietano lo spazio aereo al Qatar. Cittadini e diplomatici di Doha espulsi da Egitto, Bahrain, Emirati, Arabia Saudita. Il governo del Qatar rilancia il dialogo con gli (ex) alleati della regione. A rischio commerci, rotte aeree e mondiali di calcio nel 2022. Il ruolo degli Usa e la visita di Trump a Riyadh. Pechino preoccupata per gli investimenti nella regione.

 

Doha (AsiaNews) - A dispetto degli appelli alla calma e al dialogo lanciati da Doha, si inasprisce sempre più la crisi diplomatica (e commerciale) divampata ieri in tutta la sua portata fra Arabia Saudita - sostenuta dagli alleati del Golfo, oltre che da Egitto e Maldive - e Qatar. Riyadh, Manama e il Cairo hanno vietato lo spazio aereo ai velivoli battenti bandiera qatariota, dopo aver chiuso le frontiere e rotto le relazioni diplomatiche.

Bahrain, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti hanno concesso due settimane ai cittadini del Qatar per lasciare i rispettivi Paesi. I diplomatici di Doha hanno 48 ore di tempo per abbandonare le loro sedi in Egitto ed Emirati. Riyadh ha chiuso la sede locale del canale satellitare al-Jazeera, lasciando però aperta la possibilità ai cittadini del Qatar di partecipare all’Hajj, il pellegrinaggio maggiore alla Mecca.

Dietro i provvedimenti restrittivi, il sostegno dato da Doha a gruppi definiti terroristi (fra cui i Fratelli musulmani) e i rapporti con l’Iran, nemico numero uno dei sauditi.

Il ministero degli Esteri del Qatar, dopo una prima reazione furiosa in cui ha accusato gli ex alleati di voler mettere il Paese sotto “tutela”, ha diffuso una nota in cui rilancia l’obiettivo del dialogo con i Paesi della regione e nega tensioni con gli Stati Uniti. Il capo della diplomazia di Doha Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al-Than invoca rapporti improntati “all’apertura e all’onestà” per appianare le tensioni e risolvere la crisi.

Tuttavia, i cittadini hanno già iniziato a prendere d’assalto i supermercati per fare scorte di cibo e di materie prime, nel contesto di una nazione che dipende in maniera quasi esclusiva dalle importazioni nel settore alimentare. In alcuni negozi si sono formate code di decine di persone alle casse.

Il piccolo Stato arabo, ricco di gas e petrolio, ospita la più importante base aerea statunitense nel Golfo, di importanza strategica anche nella lotta contro lo Stato islamico (SI) e il pattugliamento della regione, ed è la sede scelta per i mondiali di calcio del 2022. Tuttavia, in queste ore alcune personalità di primo piano della politica Usa - repubblicane e democratiche - non hanno escluso l’ipotesi di uno spostamento della base nel caso in cui le tensioni dovessero continuare.

I recenti sviluppi regionali sarebbero la conferma, seppur indiretta, del rinato legame di ferro fra Washington e Riyadh in seguito alla visita ufficiale del presidente Donald Trump del mese scorso. Per molti questo viaggio ha rappresentato una “svolta” nella politica della regione, con il via libera di Washington alla lotta saudita in chiave anti-iraniana. Una guerra a tutto campo, destinata a colpire anche quanti, come il Qatar, mantengono [buone] relazioni sottobanco con Teheran. Disco verde, dunque, contro quei Paesi “non allineati”.

Analisti ed esperti non escludono, inoltre, un cambiamento della sede dei mondiali di calcio in programma fra cinque anni. La chiusura delle frontiere e il boicottaggio economico e commerciale dei Paesi confinanti rischia di bloccare i lavori alle infrastrutture e frapporre seri ostacoli alla circolazione delle persone (oltre che, in prospettiva, dei tifosi per assistere alla rassegna iridata). E prima ancora dei mondiali, potrebbe essere a rischio anche la Coppa delle Nazioni, in calendario il prossimo dicembre a Doha. A questo si aggiunge la decisione della compagine di calcio saudita Al-Ahli di annullare, in queste ore, il contratto di sponsorizzazione - di 16 milioni di dollari all’anno - che la vedeva legata alla Qatar Airways, compagnia di bandiera di Doha.

Fra le prime conseguenze dell’isolamento arabo nei confronti del Qatar, la possibile crisi del settore aereo con perdite ingenti per le compagnie locali e caos nel principale scalo di Doha, fra i più importanti hub internazionali. Il divieto di sorvolo impone ai mezzi della Qatar Airways di ridisegnare rotte e collegamenti, con un inevitabile aumento nei costi che - nel lungo periodo - potrebbe rivelarsi insostenibile. Già ieri lo spazio aereo della Somalia ha concesso il transito a 15 voli della Qatar Airways, un numero ben superiore alla media giornaliera. Sempre ieri almeno 76 voli sono rimasti a terra, 52 dei quali erano operati da Qatar Airways. Per gli esperti l’impatto sulla rete dei collegamenti è fin da ora “enorme” e le conseguenze e livello economico dipenderanno dalla durata del blocco.

Nella controversia che vede opposte il Qatar e gli ex alleati arabi della regione è intervenuto anche l’Iran, secondo molti il reale motivo di scontro fra Doha e Riyadh. Una frattura che sembra essere diventata insanabile all’indomani delle presunte dichiarazioni su Teheran attribuite all’emiro Sheikh Tamin bin Hamad al-Thani, risultato di un’azione di pirateria informatica secondo i vertici dell’Emirato. In una nota il ministro iraniano degli Esteri Mohammad Javad Zarif invita il Qatar e le nazioni dell’area a intavolare un dialogo costruttivo per risolvere la crisi. “Il vicinato - ha dichiarato il capo della diplomazia di Teheran - è per sempre. Non si può modificare la geografia. Misure coercitive non sono la soluzione. Il dialogo è imperativo, in special modo durante il Ramadan”. In precedenza il portavoce di Zarif ha affermato che le sanzioni sono un mezzo di ritorsione “inefficiente, inaccettabile e da condannare” nella risoluzione delle controversie. Del resto negli ultimi mesi le fitte relazioni fra Doha e Teheran avevano favorito l’evacuazione delle popolazioni siriane sotto assedio, sia nei territori controllati dal governo che nelle aree in mano ai ribelli.

Infine, le tensioni nella regione rischiano di avere pesanti ripercussioni sugli investimenti cinesi nell’area, mettendo forse per la prima volta in crisi la politica di “non interventismo” osservata da Pechino nei suoi rapporti con i partner esteri. Nel mirino, in particolare, il mega progetto “One Belt, One Road” voluto dal presidente Xi Jinping, definito dagli esperti la nuova “via della seta” cinese che rischia di infrangersi contro lo scoglio mediorientale. La diplomazia della neutralità e della ricerca di buone relazioni con tutti i partner - da Teheran a Riyadh, da Doha a Damasco - potrebbe non essere più sufficiente per garantire investimenti e progetti di sviluppo dal valore miliardario. Ecco perché, nel primo (e assai vago) documento sulla politica da perseguire nei Paesi arabi diffusa lo scorso anno da Pechino, venivano rafforzati i (vaghi) ideali di pace e stabilità ai quali la crisi fra sauditi e Qatar potrebbe aver assestato il colpo finale.

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