04/04/2016, 15.39
LIBANO
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Libano, patriarchi orientali: Eleggere un presidente e fermare l’esodo dei cristiani

I capi delle Chiese orientali, riuniti a Bkerké, hanno definito “questione di massima importanza” la nomina del capo di Stato. Alla classe politica e dirigente il compito di risolvere la “crisi economica e sociale”. Il Paese è al collasso e non è più in grado di fronteggiare l’emergenza migranti. Card Raï: "Solo la misericordia salverà il Libano". 

Beirut (AsiaNews) - Eleggere un presidente della Repubblica, carica vacante da quasi due anni in Libano, e fermare l’esodo dei cristiani in Medio oriente, in particolare dalle aree di guerra in Iraq e in Siria. È l’appello lanciato da patriarchi delle Chiese orientali, riuniti oggi per un incontro spirituale a Bkerké [sede del Patriarcato di Antiochia dei Maroniti, ndt] sotto la guida del card Béchara Raï. In una nota diffusa al termine dell’incontro, i leader cristiani hanno sottolineano che l’elezione del prossimo capo di Stato è “questione di massima importanza”, poiché la “vacanza presidenziale pesa sul funzionamento delle istituzioni dello Stato”. 

Dal 25 maggio 2014, con la conclusione del mandato di Michel Suleiman, il Libano è privo di un capo di Stato; da allora il Parlamento e i blocchi al suo interno non sono riusciti a raggiungere il consenso sulla scelta del successore. In questi mesi il patriarca maronita e i vertici della Chiesa locale hanno più volte richiamato - invano - politica e istituzioni alla nomina del successore. 

Oggi, a conclusione dell’incontro spirituale, i patriarchi delle Chiese orientali hanno rinnovato l’appello per l’elezione del nuovo presidente. I prelati hanno anche esortato la classe dirigente a “lavorare in modo duro e onesto” per risolvere la “crisi economica e sociale” che riguarda anche il Paese dei Cedri, con riflessi gravi “soprattutto per i giovani” secondo il principio di “equità”. 

Un altro punto evidenziato dai leader cristiani riuniti a Bkerké, il progressivo deterioramento nei rapporto fra il Libano e i Paesi arabi, con minacce di espulsione dei governi della regione verso i cittadini libanesi e blocco dei conti correnti bancari. Tutto questo, avvertono, ha “un impatto negativo sul popolo libanese e i suoi interessi”. 

I patriarchi - cattolici e ortodossi, assieme ai capi delle Chiese protestanti - sono impegnati da tempo nel trovare una risposta comune alle grandi sfide locali e internazionali; nella riunione di oggi essi hanno poi affrontato il tema dell’esodo dei milioni di profughi in fuga dalla guerra in Iraq e in Siria, fra i quali vi sono anche molti cristiani.

Da mesi il Libano, come la vicina Giordania, vive una vera e propria emergenza che la Chiesa locale segue con attenzione e preoccupazione. “Il Libano non ha le capacità per accogliere - scrivono i leader cristiani - i rifugiati siriani, palestinesi e irakeni” e per questo servono soluzioni politiche in seno alla comunità internazionale che favoriscano il rientro in patria. “L’esodo dei cristiani da Iraq e Siria - avvertono - ha raggiunto le proporzioni di un genocidio”, come avvenuto il secolo scorso “nei confronti degli armeni alla fine dell’impero ottomano”. Fra gli altri temi discussi vi sono l’importanza della cittadinanza come elemento di unità nazionale, la cura dell’ambiente nel mezzo di un’emergenza rifiuti senza precedenti e la necessità di combattere l’estremismo religioso e confessionale.

Ieri infine, alla vigilia dell’incontro, il patriarca Raï ha celebrato una messa solenne in occasione della festa della Divina Misericordia. Durante l’omelia il porporato ha detto che “è inutile sperare nella salvezza del Libano, se la misericordia non ha spazio nel cuore della nostra classe dirigente”. Una misericordia che, per i cristiani, si deve riflettere nelle opere e nei gesti di tutti i giorni. 

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