10/05/2017, 12.31
MEDIO ORIENTE
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Medio oriente di sangue: nella regione il maggior numero di vittime di conflitti

È l’area più pericolosa della terra con almeno 82mila morti nel 2016. La Siria per il quinto anno consecutivo registra il numero più elevato di vittime in un conflitto: oltre 50mila. Cresce anche il costo socio-economico delle guerre, che coinvolgono sempre più centri urbani. A livello globale calano i decessi: 157mila nel 2016, contro i 167mila del 2015.

 

Beirut (AsiaNews/Agenzie) - Il Medio oriente resta ancora la regione più pericolosa e letale della terra, con almeno 82mila morti registrati lo scorso anno nelle diverse guerre - Siria e Yemen su tutte - che infiammano l’area. È quanto emerge da un rapporto pubblicato in questi giorni dal prestigioso istituto di ricerca londinese  International Institute for Strategic Studies (Iiss). E per il quinto anno consecutivo il conflitto siriano è la causa del maggior numero di vittime, con oltre 50mila morti nel 2016, che portano il numero complessivo a circa 290mila.

Secondo quanto emerge dalla “Inchiesta 2017 sui conflitti armati”, in generale sette delle 10 più sanguinose guerre combattute lo scorso anno sono localizzate in Medio oriente: fra le nazioni più colpite l’Iraq, lo Yemen, la Turchia insieme all’Afghanistan, il Sudan e la Somalia. Ei conflitti in Iraq e Afghanistan hanno provocato, rispettivamente, 17mila e 16mila morti nel 2016. Il bilancio delle vittime nello scontro decennale che si consuma in Turchia fra governo e il movimento ribelle Pkk (il Partito curdo dei lavoratori), nell’elenco dei gruppi terroristi secondo Ankara, ha raggiunto quota 3mila. Si tratta del livello più alto mai registrato dal 1997 a oggi.

Nei 10 Paesi in cui si consumano i conflitti più sanguinosi, aggiungono i ricercatori, si registra anche l’80% del totale 2016 dei morti complessivi nel mondo a causa della guerra.

Oltre alle vittime, cresce pure il dato relativo ai rifugiati, sia per quanto concerne gli sfollati interni sia fra i migranti oltreconfine. Fra gennaio e agosto dello scorso anno si sono registrati 900mila nuovi sfollati interni in Siria. Il numero di sfollati interni nello stesso periodo in Iraq e Afghanistan ha toccato quota 234mila e 260mila.

Il costo socio-economico complessivo di tutti questi conflitti è “immenso” e serve solo ad acuire le sofferenze di popolazioni ormai ridotte allo stremo delle forze. Lo scorso anno il Fondo monetario internazionale aveva diffuso un documento dal quale emergeva che il Prodotto interno lordo (Pil) in Siria si è dimezzato fra il 2010 e il 2015. La perdita stimata per lo Yemen si aggira fra il 25 e il 35% nel solo 2015 e nell’anno precedente in Libia il Pil è crollato del 24%.

Le guerre, avvertono gli esperti, causano una impennata dell’inflazione e forti pressioni sui tassi di cambio; al contempo, anche le nazioni confinanti spesso registrano una rallentamento della crescita e un aumento deciso dei prezzi al consumo. Fra le cause la necessità di contribuire al benessere dei rifugiati e il dover affrontare l’impatto che questo provoca sulle loro economie. Al contempo risulta sempre più inadeguato il bilancio di circa 8 miliardi di dollari stanziato a livello internazionale per le missioni di peacekeeping. Un valore insufficiente a fronteggiare il numero globale delle operazioni in atto. 

Un altro elemento caratterizzante i recenti conflitti è il fatto che coinvolgono sempre più i centri urbani. Dallo studio Iiss emerge infatti che i rifugiati tendono sempre più a gravitare attorno alle città, rinunciando ai campi profughi costruiti nelle aree di campagna o isolate per ospitarli. Secondo quanto riferisce l’Alto commissariato Onu per i rifugiati, circa il 90% dei rifugiati siriani si è risistemato in centri urbani o nella prima periferia delle nazioni confinanti.

E le guerre stesse tendono a insanguinare sempre più le città: questo emerge in particolare nel conflitto siriano e nella lotta fra Ankara e ribelli curdi in Turchia. Inoltre, anche in Afghanistan ha preso sempre più piede la strategia dei talebani di colpire nei centri urbani attraverso attacchi suicida o operazioni di guerra mirate.

“La natura dei conflitti - afferma John Chipman, direttore generale Iiss - sta cambiando. E come gli sfollati si stanno dirigendo sempre più verso i centri urbani, lo stesso fenomeno si registra per i combattimenti”. Se in passato i combattenti sfruttavano montagne o foreste (vedi guerra in Vietnam), aggiunge l’esperto, oggi teatro delle battaglie sono sempre più le città e questo aggrava anche il compito degli operatori umanitari.

L’unica nota di [parziale] consolazione deriva dal calo nel numero complessivo dei morti nei conflitti: 157mila nel 2016, contro i 167mila del 2015 e i 184mila del 2014.

 

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