05/07/2013, 00.00
VATICANO
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Papa: la fede, "la" risposta a un mondo in crisi

di Franco Pisano
Pubblicata l'enciclica "Lumen fidei", cominciata da Benedetto XVI per l'Anno della fede. Credere non è una "illusione di luce", ma consapevolezza dell'azione dell'amore di Dio nella storia. "Poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costru­ire la propria sicurezza sulla sua Parola". La fede è legata alla verità e all'amore, è "via" anche per chi non crede, è "servizio al bene comune".

Città del Vaticano (AsiaNews) - La fede è "la" risposta a un mondo nel quale "vero" sembra essere solo ciò che è sperimentalmente verificabile, mentre tutto il resto riguarda le convinzioni personali, e nel quale non c'è posto per "la verità grande, la verità che spiega l'insieme della vita personale e sociale", che anzi "è guardata con sospetto". La fede è "la luce" che apre all'incontro con l'amore originario e "affidabile" di Dio, in cui appare il senso e la bontà del­la nostra vita, capace, quindi, di "valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune". Essa "non allontana dal mondo e non risulta estranea all'impegno concre­to dei nostri contemporanei. Senza un amore af­fidabile nulla potrebbe tenere veramente uniti gli uomini. L'unità tra loro sarebbe concepibile solo come fondata sull'utilità, sulla composizione degli interessi, sulla paura, ma non sulla bontà di vivere insieme, non sulla gioia che la semplice presenza dell'altro può suscitare".

Perché la fede, è il filo conduttore della "Lumen fidei", prima enciclica firmata da papa Francesco, ma frutto di un lavoro che egli stesso ha definito "a quattro mani" che "aveva cominciato papa Benedetto XVI" per l'Anno della fede. "Lui me l'ha consegnata, è un documento forte. Il grande lavoro lo ha fatto lui". Documento corposo, 93 pagine nell'edizione italiana, suddiviso in quattro capitoli

Il documento inizia con una costatazione: la fede, che un tempo era "una luce che illumina tutto il percorso della strada", nell'epoca moderna si è pensato "potesse bastare per le società antiche, ma non servisse per i nuovi tempi, per l'uomo diven­tato adulto, fiero della sua ragione, desideroso di esplorare in modo nuovo il futuro". Che, anzi, la fede sarebbe "una illusione di luce", "un salto nel vuo­to che compiamo per mancanza di luce, spinti da un sentimento cieco; o come una luce soggettiva, capace forse di riscaldare il cuore, di portare una consolazione privata, ma che non può proporsi agli altri come luce oggettiva e comune per rischiara­re il cammino".

"È urgente perciò recuperare il carattere di luce proprio della fede, perché quando la sua fiamma si spegne anche tutte le altre luci finiscono per perdere il loro vigore. La luce della fede possiede, infatti, un carattere singolare, essendo capace di illuminare tutta l'esistenza dell'uomo (n. 2)". Il recupero parte da Abramo, "padre della nostra fede". Egli ha ascoltato la parola di Dio, ha risposto alla sua chiamata, si è fidato della sua promessa. E "la Parola di Dio, anche se porta con sé novità e sorpresa, non risulta per nulla estranea all'esperienza del Patriar­ca. Nella voce che si rivolge ad Abramo, egli rico­nosce un appello profondo, inscritto da sempre nel cuore del suo essere (n. 11)". "Quel Dio che chiede ad Abramo di affidarsi totalmente a Lui si rivela come la fonte da cui proviene ogni vita. In questo modo la fede si collega con la Paternità di Dio, dalla quale sca­turisce la creazione: il Dio che chiama Abramo è il Dio creatore, Colui che « chiama all'esisten­za le cose che non esistono » (Rm 4,17), Colui che « ci ha scelti prima della creazione del mon­do... predestinandoci a essere suoi figli adottivi » (Ef 1,4-5) (n. 11)".

Abramo, dunque, si fida di Dio e "Gesù è la manifestazio­ne piena dell'affidabilità di Dio", "la vita di Gesù appare come il luo­go dell'intervento definitivo di Dio, la suprema ma­nifestazione del suo amore per noi". "La nostra cultura ha perso la percezione di questa presenza concreta di Dio, della sua azione nel mondo. Pensiamo che Dio si trovi solo al di là, in un altro livello di realtà, sepa­rato dai nostri rapporti concreti. Ma se fosse così, se Dio fosse incapace di agire nel mondo, il suo amore non sarebbe veramente potente, veramente reale" (n. 17). La Risurrezione, invece, fa di Gesù un "testimone affidabile" dell'azione di Dio nella storia. Per questo "crediamo a Gesù" e "crediamo in Gesù" accogliendolo nella nostra vita. Grazie alla fede, l'uomo si salva, perché si apre a un Amore che lo precede e lo trasforma dall'interno. "Il credente impara a vedere se stesso a partire dalla fede che professa: la figura di Cristo è lo specchio in cui sco­pre la propria immagine realizzata. E come Cristo abbraccia in sé tutti i credenti, che formano il suo corpo, il cristiano comprende se stesso in questo corpo, in relazione originaria a Cristo e ai fratelli nella fede. L'immagine del corpo non vuole ridurre il credente a semplice parte di un tutto anonimo, a mero elemento di un grande ingranaggio, ma sot­tolinea piuttosto l'unione vitale di Cristo con i cre­denti e di tutti i credenti tra loro (cfr Rm 12,4-5). I cristiani sono "uno" (cfr Gal 3,28), senza perdere la loro individualità, e nel servizio agli altri ognuno guadagna fino in fondo il proprio essere" (n. 22).

Fuori dalla presenza dello Spirito, è impossibile confessare il Signore. Perciò "la fede ha una forma necessariamen­te ecclesiale, si confessa dall'interno del corpo di Cristo, come comunione concreta dei credenti. È da questo luogo ecclesiale che essa apre il singolo cristiano verso tutti gli uomini" (n. 22). Perciò "la fede non è un fatto privato, una concezione individualistica, un'opinione soggettiva", ma nasce dall'ascolto ed è destinata a pronunciarsi e a diventare annuncio.

Ma "la fede senza verità non salva". Il legame tra fede e verità parte dall'affermazione che "poiché Dio è affidabile, è ragionevole avere fede in Lui, costru­ire la propria sicurezza sulla sua Parola". "Richiamare la connessione della fede con la verità è oggi più che mai necessario, proprio per la crisi di verità in cui viviamo. Nella cultura con­temporanea si tende spesso ad accettare come ve­rità solo quella della tecnologia: è vero ciò che l'uo­mo riesce a costruire e misurare con la sua scienza, vero perché funziona, e così rende più comoda e agevole la vita. Questa sembra oggi l'unica verità certa, l'unica condivisibile con altri, l'unica su cui si può discutere e impegnarsi insieme. Dall'altra parte vi sarebbero poi le verità del singolo, che consisto­no nell'essere autentici davanti a quello che ognuno sente nel suo interno, valide solo per l'individuo e che non possono essere proposte agli altri con la pretesa di servire il bene comune. La verità grande, la verità che spiega l'insieme della vita personale e sociale, è guardata con sospetto. Non è stata for­se questa - ci si domanda - la verità pretesa dai grandi totalitarismi del secolo scorso, una verità che imponeva la propria concezione globale per schiac­ciare la storia concreta del singolo? Rimane allora solo un relativismo in cui la domanda sulla verità di tutto, che è in fondo anche la domanda su Dio, non interessa più. È logico, in questa prospettiva, che si voglia togliere la connessione della religio­ne con la verità, perché questo nesso sarebbe alla radice del fanatismo, che vuole sopraffare chi non condivide la propria credenza. Possiamo parlare, a questo riguardo, di un grande oblio nel nostro mondo contemporaneo. La domanda sulla verità è, infatti, una questione di memoria, di memoria pro­fonda, perché si rivolge a qualcosa che ci precede e, in questo modo, può riuscire a unirci oltre il nostro "io" piccolo e limitato. È una domanda sull'origine di tutto, alla cui luce si può vedere la meta e così anche il senso della strada comune" (n. 25).

"In questa situazione, può la fede cristiana offrire un servizio al bene comune circa il modo giusto di intendere la verità?". La risposta è nel fatto che la fede è legata alla verità e all'amore, inteso non come "un sentimento che va e viene", ma come il grande amore di Dio Padre che ci trasforma interiormente e ci dona occhi nuovi per vedere la realtà. "La conoscenza della fede, per il fatto di nascere dall'amore di Dio che stabilisce l'Alleanza, è conoscenza che illumi­na un cammino nella storia. È per questo, inoltre, che, nella Bibbia, verità e fedeltà vanno insieme: il Dio vero è il Dio fedele". Allora "amore e verità non si possono separare" (n. 27), perché solo l'amore vero supera la prova del tempo e diventa fonte di conoscenza. E poiché la conoscenza della fede nasce dall'amore fedele di Dio, "verità e fedeltà vanno insieme".

Oggi, però, la verità "è ridotta spesso ad autenticità soggettiva del singolo, valida solo per la vita indi­viduale. Una verità comune ci fa paura, perché la identifichiamo con l'imposizione intransigente dei totalitarismi. Se però la verità è la verità dell'amore, se è la verità che si schiude nell'incontro personale con l'Altro e con gli altri, allora resta liberata dalla chiusura nel singolo e può fare parte del bene co­mune. Essendo la verità di un amore, non è veri­tà che s'imponga con la violenza, non è verità che schiaccia il singolo. Nascendo dall'amore può ar­rivare al cuore, al centro personale di ogni uomo. Risulta chiaro così che la fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l'altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall'irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti" (n. 34).

D'altra parte, la luce della fede, in quanto unita alla verità dell'amore, non è aliena al mondo mate­riale. "Essa illumina anche la materia, confida nel suo ordine, conosce che in essa si apre un cammino di armonia e di compren­sione sempre più ampio. Lo sguardo della scienza riceve così un beneficio dalla fede: questa invita lo scienziato a rimanere aperto alla realtà, in tutta la sua ricchezza inesauribile. La fede risveglia il sen­so critico, in quanto impedisce alla ricerca di essere soddisfatta nelle sue formule e la aiuta a capire che la natura è sempre più grande. Invitando alla me­raviglia davanti al mistero del creato, la fede allarga gli orizzonti della ragione per illuminare meglio il mondo che si schiude agli studi della scienza" (n. 34).

La fede, dunque, come "via", che, proprio per questo "ri­guarda anche la vita degli uomini che, pur non cre­dendo, desiderano credere e non cessano di cer­care. Nella misura in cui si aprono all'amore con cuore sincero e si mettono in cammino con quel­la luce che riescono a cogliere, già vivono, senza saperlo, nella strada verso la fede. Essi cercano di agire come se Dio esistesse, a volte perché ricono­scono la sua importanza per trovare orientamenti saldi nella vita comune, oppure perché sperimenta­no il desiderio di luce in mezzo al buio, ma anche perché, nel percepire quanto è grande e bella la vita, intuiscono che la presenza di Dio la renderebbe an­cora più grande" (n. 35).

E "poiché la fede è una luce, ci invita a inol­trarci in essa, a esplorare sempre di più l'orizzonte che illumina, per conoscere meglio ciò che amia­mo. Da questo desiderio nasce la teologia cristiana. È chiaro allora che la teologia è impossibile senza la fede e che essa appartiene al movimento stes­so della fede" (n. 36). Essa, poi, "condivide la forma ecclesiale della fede". "Ciò implica, da una parte, che la te­ologia sia al servizio della fede dei cristiani, si metta umilmente a custodire e ad approfondire il credere di tutti, soprattutto dei più semplici. Inoltre, la teolo­gia, poiché vive della fede, non consideri il Magistero del Papa e dei Vescovi in comunione con lui come qualcosa di estrinseco, un limite alla sua libertà, ma, al contrario, come uno dei suoi momenti interni, co­stitutivi, in quanto il Magistero assicura il contatto con la fonte originaria, e offre dunque la certezza di attingere alla Parola di Cristo nella sua integrità" (n. 36).

Questo riguarda anche l'evangelizzazione. Chi si è aperto all'amore di Dio, "non può tenere questo dono per sé". "La trasmissione della fede, che brilla per tutti gli uomini di tutti i luoghi, passa anche attra­verso l'asse del tempo, di generazione in generazio­ne". C'è quindi un legame tra fede e memoria, perché l'amore di Dio mantiene uniti tutti i tempi. Ed è anche "impossibile credere da soli", perché la fede non è "un'opzione individuale", apre l'io al "noi" e avviene sempre "all'interno della comunione della Chiesa". Per questo "chi crede non è mai solo".

Un "mezzo speciale" con il quale avviene la trasmissione della fede sono i sacramenti. "In essi si comunica una memoria incarnata, legata ai luoghi e ai tempi della vita, associata a tutti i sensi; in essi la persona è coinvolta, in quanto membro di un soggetto vivo, in un tessuto di relazioni comu­nitarie. Per questo, se è vero che i Sacramenti sono i Sacramenti della fede, si deve anche dire che la fede ha una struttura sacramentale" (n. 40).

E la fede è "una". E' "una", in primo luogo, "per l'unità del Dio cono­sciuto e confessato", "è una perché si rivolge all'u­nico Signore, alla vita di Gesù, alla sua storia con­creta che condivide con noi", "è una perché è condivisa da tutta la Chiesa, che è un solo corpo e un solo Spirito" (n. 47). E "dato che la fede è una sola, deve essere confessata in tutta la sua purezza e integrità. Pro­prio perché tutti gli articoli di fede sono collegati in unità, negare uno di essi, anche di quelli che sem­brerebbero meno importanti, equivale a danneggia­re il tutto". "Come servizio all'unità della fede e alla sua trasmissione integra, il Signore ha dato alla Chiesa il dono della successione apostolica. Per suo trami­te, risulta garantita la continuità della memoria del­la Chiesa ed è possibile attingere con certezza alla fonte pura da cui la fede sorge" (n. 48).

La fede, poi, grazie alla sua connessione con l'amore, "si pone al servizio concreto della giustizia, del diritto e della pace. La fede nasce dall'incontro con l'amore ori­ginario di Dio in cui appare il senso e la bontà del­la nostra vita". "La luce della fede è in grado di valorizzare la ricchezza delle relazioni umane, la loro capacità di mantenersi, di essere affidabili, di arricchire la vita comune", "fa comprendere l'architettura dei rapporti umani, perché ne coglie il fondamento ultimo e il destino definitivo in Dio, nel suo amore, e così illumina l'arte dell'edifica­zione, diventando un servizio al bene comune. Sì, la fede è un bene per tutti, è un bene comune, la sua luce non illumina solo l'interno della Chiesa, né serve unicamente a costruire una città eterna nell'aldilà; essa ci aiuta a edificare le nostre socie­tà, in modo che camminino verso un futuro di speranza" (n. 51).

"Il primo ambito in cui la fede illumina la città degli uomini si trova nella famiglia. Penso anzitutto all'unione stabile dell'uomo e della donna nel matri­monio". "In famiglia, la fede accompagna tutte le età della vita", "per questo è importante che i genitori coltivino pratiche comuni di fede nella famiglia, che accompagnino la maturazione della fede dei figli. Soprattutto i giova­ni, che attraversano un'età della vita così complessa, ricca e importante per la fede, devono sentire la vi­cinanza e l'attenzione della famiglia e della comuni­tà ecclesiale nel loro cammino di crescita nella fede" (n. 53).

Ma la fede la fede "diventa luce per illuminare tutti i rappor­ti sociali". "Come esperienza della paternità di Dio e della misericordia di Dio, si dilata poi in cammino fraterno". "Nel procedere della storia della salvezza, l'uomo scopre che Dio vuol far parteci­pare tutti, come fratelli, all'unica benedizione, che trova la sua pienezza in Gesù, affinché tutti diven­tino uno". E grazie alla fede che "abbiamo capito la dignità unica della singola persona". "Al centro della fede biblica, c'è l'amore di Dio, la sua cura concreta per ogni persona, il suo disegno di salvez­za che abbraccia tutta l'umanità e l'intera creazione e che raggiunge il vertice nell'Incarnazione, Morte e Risurrezione di Gesù Cristo. Quando questa re­altà viene oscurata, viene a mancare il criterio per distinguere ciò che rende preziosa e unica la vita dell'uomo. Egli perde il suo posto nell'universo, si smarrisce nella natura, rinunciando alla propria responsabilità morale, oppure pretende di essere arbitro assoluto, attribuendosi un potere di mani­polazione senza limiti" (n. 54).

La fede, inoltre, ci fa rispettare maggiormente la na­tura, "facendoci riconoscere in essa una grammatica" scritta da Dio e "una dimora a noi affidata perché sia coltivata e custodita; ci aiuta a trovare modelli di sviluppo che non si basino solo sull'utilità e sul profitto, ma che considerino il creato come dono, di cui tutti siamo debitori; ci insegna a individuare forme giuste di governo, riconoscendo che l'au­torità viene da Dio per essere al servizio del bene comune. La fede afferma anche la possibilità del perdono, che necessita molte volte di tempo, di fa­tica, di pazienza e di impegno; perdono possibile se si scopre che il bene è sempre più originario e più forte del male, che la parola con cui Dio afferma la nostra vita è più profonda di tutte le nostre ne­gazioni" (n. 55). E "quando la fede viene meno, c'è il rischio che anche i fondamenti del vivere vengano meno".

Il cristiano, infine, "sa che la sofferenza non può essere eliminata, ma può ricevere un senso, può di­ventare atto di amore, affidamento alle mani di Dio che non ci abbandona e, in questo modo, essere una tappa di crescita della fede e dell'amore. Con­templando l'unione di Cristo con il Padre, anche nel momento della sofferenza più grande sulla cro­ce (cfr Mc 15,34), il cristiano impara a partecipare allo sguardo stesso di Gesù. Perfino la morte ri­sulta illuminata e può essere vissuta come l'ultima chiamata della fede" (n. 56). "La fede non è luce che dissipa tutte le nostre tenebre, ma lampada che guida nella notte i nostri passi, e questo basta per il cammino. All'uomo che soffre, Dio non dona un ragionamento che spieghi tutto, ma offre la sua risposta nella forma di una presenza che accompagna, di una storia di bene che si unisce ad ogni storia di sofferenza per aprire in essa un varco di luce" (. 57).

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