22/02/2013, 00.00
PAKISTAN – STATI UNITI
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Sherry Rehman, ambasciatrice pakistana, indagata perchè contraria alla blasfemia

di Jibran Khan
Rischia il processo e, in caso di condanna, la pena capitale o l’ergastolo. I giudici hanno accolto l’istanza di un uomo d’affari del Multan, che da anni vuole trascinare in tribunale la donna. In passato la Rehman ha promosso “emendamenti” alla legge nera. Indignazione di attivisti e leader cattolici.

Islamabad (AsiaNews) - La Corte suprema ha autorizzato l'apertura di un'inchiesta per blasfemia a carico di Sherry Rehman, ambasciatrice pakistana negli Stati Uniti ed esponente del Pakistan People's Party (Ppp), partito di governo guidato dal presidente Asif Ali Zardari. Il via libera del massimo organismo giuridico nei confronti della diplomatica è giunto ieri al termine di una controversia in corso da anni; la decisione dei giudici ha sollevato feroci polemiche e critiche in seno alla società civile e della Chiesa cattolica. L'incriminazione è infatti un ulteriore segnale dell'abuso che viene compiuto in nome della "legge nera", per la cui modifica si sono battuti e hanno pagato con la vita il governatore del Punjab Salman Taseer (assassinato dagli estremisti il 4 gennaio 2011) e il ministro cattolico per le Minoranze Shahbaz Bhatti (giustiziato con 30 colpi il 2 marzo dello stesso anno).

La vertenza legale si trascina dall'autunno del 2010, quando nelle cronache internazionali è emerso in tutta la sua portata il dramma di Asia Bibi, cristiana e madre di cinque figli, condannata a morte per blasfemia e tuttora in attesa dell'appello. In un talk-show televisivo e in un'intervista ad AsiaNews la Rehman ha auspica "emendamenti" alla norma per scongiurare abusi, depositando in Parlamento una  proposta di modifica. L'iniziativa è poi rientrata qualche mese più tardi, per le minace provenienti da diversi gruppi islamici contro l'esponente del Ppp.

Nel frattempo un uomo di affari del Multan, nel Punjab, ha avviato una battaglia legale per processare l'attuale ambasciatrice per blasfemia, un reato che prevede pene fino all'ergastolo o la condanna a morte in Pakistan. In un primo momento la polizia ha respinto l'istanza di denuncia, poi è arrivata la sentenza dell'Alta corte che ha rigettato la richiesta di procedimento.

Tuttavia Muhammad Faheem non si è dato per vinto e ha portato l'istanza davanti alla Corte suprema. Ieri i giudici gli hanno dato ragione, ordinando un'inchiesta ai danni della Rehman - spedita a Washington come ambasciatrice dal governo, proprio per tutelarla da vendette o attacchi mirati - che rischia l'arresto immediato e una pesante condanna.

Associazioni per i diritti umani e attivisti esprimono disappunto per la sentenza della Corte, sottolineando come "sia una ulteriore testimonianza" dell'abuso che viene compiuto in nome della blasfemia, il più delle volte per colpire vittime innocenti come la giovane Rimsha Masih. Sulla vicenda interviene anche il vescovo di Islamabad-Rawalpindi mons. Rufin Anthony, che ad AsiaNews non nasconde il profondo "dispiacere". "Le leggi sulla blasfemia - aggiunge il prelato - sono usate per dirimere controversie personali e vendette. È ora di lanciare un vero appello all'armonia interconfessionale per porre un freno alla crescente intolleranza". 

 

 

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