19/05/2008, 00.00
IRAQ
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Vescovi iracheni contro la pena capitale per il killer di mons. Rahho

Sentenza di morte per Ahmad Ali Ahmad, esponente di al Qaeda coinvolto nel rapimento e nell’uccisione del vescovo di Mosul a marzo. Mons Warduni e mons. Sako ricordano che la Chiesa si ispira a perdono e riconciliazione. Ma la vicenda rimane ancora avvolta da troppi misteri.

Baghdad (AsiaNews) – “Se fosse ancora in vita anche lo stesso vescovo Rahho non accetterebbe che qualcuno debba morire per lui. Ricordiamo che i principi che ispirano da sempre la Chiesa in Iraq sono quelli del perdono e della riconciliazione”. Così ad AsiaNews mons. Shlemon Warduni, vescovo ausiliare di Baghdad commenta la condanna a morte di Ahmad Ali Ahmad, militante di spicco di al Qaeda coinvolto nel rapimento e nell’assassinio a marzo dell’arcivescovo caldeo di Mosul, mons. Paulos Faraj Rahho. Mons. Warduni ha seguito in prima persona, recandosi a Mosul,  tutta la vicenda fino al tragico epilogo il 13 marzo. Anche l’arcivescovo caldeo di Kirkuk, mons Louis Sako tiene a sottolineare l’estraneità della Chiesa alla pena capitale: “La violenza non deve chiamare altra violenza! Siamo per la giustizia, ma non per la pena di morte”, ha detto ad AsiaNews.

A dare notizia della sentenza capitale è stato ieri il portavoce del governo centrale Ali al-Dabbagh. La condanna è stata emessa dal tribunale penale centrale, ma la data dell’esecuzione non è ancora nota. Le autorità non hanno diffuso ulteriori dettagli sul caso. L’intera vicenda è ancora avvolta da contorni sfumati e appare poco chiara. Ad esempio non si sa nulla sulle circostanze dell’arrestato; sul movente del rapimento del presule (soldi, fanatismo religioso?); sulle cause della sua morte (ucciso o deceduto per i problemi di salute di cui soffriva?); sui complici di Ahmad Ali Ahmad; sul perché non si elenchino gli altri crimini sicuramente commessi da un qaedista in Iraq e si parla solo dell’assassinio di Rahho. Silenzio anche sullo stato dell’inchiesta aperta in seguito al ritrovamento del corpo del vescovo alla periferia di Mosul il 13 marzo dopo 14 giorni di prigionia. Alcuni cristiani a Baghdad sottolineano che la tv non ha ancora mostrato neppure il volto del terrorista, conosciuto anche con il nome di Abu Omar.

Operazione “Ruggito di leone”

La condanna di Abu Omar arriva durante quella che il governo di Baghdad ha definito l’“offensiva finale” ad al Qaeda e alle bande criminali stanziate a Mosul. L’operazione, in codice “Ruggito di leone”, è stata sferrata dalle forze irachene il 10 maggio scorso, con sostegno degli Usa.

La città, la terza dell’Iraq, è anche l’ultima roccaforte urbana del terrorismo nel Paese e ora il governo sembra deciso a riconquistare definitivamente il controllo della zona. Il 17 maggio, dopo 4 giorni di rastrellamenti, sono stati arrestati almeno 1100 sospetti integralisti islamici; sono stati confiscati 1.400 Kg di esplosivi, 45 missili di diverso potenziale, 263 proietti da mortaio e 175 armi di varia tipologia. “La situazione è migliore – raccontano testimoni dal posto – dalle 6 di sera alle 6 del mattino vige il coprifuoco e per fortuna non vi sono stati finora scontri, né vittime civili”.

Mons Warduni, che conferma il “miglioramento della sicurezza” a Mosul aggiunge: “Chiediamo e preghiamo il Signore perché ci dia la pace e la sicurezza di cui abbiamo bisogno”.

 

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