21/08/2009, 00.00
INDIA - CINA
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Balcanizzare l’India: un progetto di Pechino?

di CT Nilesh
Un articolo su un sito “semi-ufficiale” cinese descrive le tappe per dividere l’India in 20 o più staterelli, sostenendo nazionalisti, separatisti, pakistani, tamil, srilankesi e bangladeshi. Preoccupazioni di New Delhi. Ma finora l’India, sebbene scossa da tante tensioni, ha sempre tenuto.

Mumbai (AsiaNews) – Il governo di New Delhi ha presentato una protesta ufficiale per i contenuti di un articolo pubblicato su un sito cinese, che mira a dividere l’India in “20-30 staterelli”, sostenendo guerriglie e nazionalisti presenti all’estero e all’interno della grande democrazia indiana.

Apparso l’8 aprile scorso sul sito internet www.iiss.cn  (China International Institute for Strategic Studies) l’articolo descrive con minuzia una roadmap per dividere l’India: “Per frantumare l’India, la Cina può servirsi di paesi come il Pakistan, il Nepal ed il Bhutan; può dare una mano all’Ulfa [il gruppo separatista dell’Assam] nell’ottenere il suo obiettivo d’indipendenza in Assam; appoggiare le aspirazioni di gruppi nazionalisti come i Tamil ed i Naga; incoraggiare il Bangladesh a dare una spinta per l’indipendenza del Bengala occidentale e alla fine riprendersi i 90 mila kmq del Tibet meridionale”.

Il governo indiano è preoccupato di sapere se questa agenzia stampa è rappresentativa del pensiero del governo cinese. I media indiani parlano di “un website cinese quasi-ufficiale”

Dicerie sulla balcanizzazione dell’India sono vecchie quanto lo Stato indiano. Subito dopo l’indipendenza, nel 1947, nei circoli politici europei, molti osservatori predicevano che, dopo il tragico inizio di divisione col Pakistan, l’India non sarebbe rimasta unita.

Dopo tutto l’India non è mai stata una singola unità politica. L’impero britannico l’ha messa assieme ed ha fissato confini all’ovest, al nord ed all’est. Il Paese attuale non ha nemmeno una lingua comune. Subito dopo l’indipendenza ci sono state controversie per la delimitazione degli stati interni. Il criterio seguito per delimitare i confini è stato quello linguistico. Ma molti Stati stanno ancora litigando per i confini e per l’utilizzazione dell’acqua dei fiumi; Chennai ed il Tamil Nadu si preoccupano dei loro fratelli tamil in Sri Lanka e a Bangalore; i sette Stati del nord-est sentono di essere trattati come colonie militari di Delhi e al loro interno vi sono gruppi di guerriglieri; il Kashmir è in subbuglio da 25 anni per la secessione o per una più larga autonomia; in molti Stati centrali la guerriglia maoista-naxalita  è attiva da decenni.

All’esterno, tutto questo può dare l’idea che la coesione dell’India sia molto debole e la sua frantumazione possibile.

Finora l’India è sopravissuta alle previsioni pessimiste di una balcanizzazione, ma la Cina sembra voglia provarci ancora. L’articolo del sito continua dicendo che “in vista di tutto questo, la Cina per il suo interesse e per il progresso di tutta l’Asia, dovrebbe allearsi ai movimenti nazionali come quello dell’Assam, quello tamil, quello del Kashmir ed appoggiare la formazione di nazioni-stato indipendenti fuori dall’India.” E tutto questo dovrebbe essere fatto per il progresso del subcontinente: “Solo quando l’India è stata divisa in un 20-30 staterelli sarà possibile avere una vera riforma ed un vero progresso sociale nel paese.”

Un articolo di questo genere convincerà i duri dell’India che la Cina abbia un piano per assediare l’India in alleanza coi regimi del Pakistan, Bangladesh e Nepal, e per appoggiare gruppi d’insurrezione. 

Qualche giorno dopo la protesta di New Delhi, il fondatore ed editore del sito www.iiss.cn, Kang Lingyi, ha affermato che lui stesso ha editato il sito senza nessun intervento del governo e che l’articolo è stato scritto da un autore anonimo.

M D S Rajan, direttore del Chennai Centre for China Studies, che ha tradotto l’articolo dal cinese e l’ha pubblicato, afferma: “I cinesi parlano all’India in toni differenti. Questa tonalità è semiufficiale, ma non completamente. In tal modo, il governo cinese ha la possibilità di negare, ma vi sono stati una serie di pronunciamenti [ufficiali] di tono simile”

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