14/08/2013, 00.00
LIBANO
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Beirut, stallo politico e divisioni mettono a rischio la fragile democrazia libanese

di Fady Noun
La controversia sulla proroga del mandato alla Camera specchio della crisi politica interna. Il governo di Nagib Mikati è in carica solo per gli affari correnti; le condizioni poste da Hezbollah impediscono al suo successore in pectore Tammam Salam di formare un esecutivo. Ma né i sunniti né gli sciiti hanno interesse al crollo del Paese.

Beirut (AsiaNews) - In Libano la democrazia è stata stravolta e il sistema politico si irrigidisce a un ritmo sempre crescente. Certo, in questi ultimi anni il Libano ha deviato a poco a poco dalla democrazia, ma il colpo di acceleratore rivelatosi fatale è stato il voto di proroga del mandato della Camera, nel giugno scorso. Passibile di appello che sarebbe sfociato nell'annullamento, questo ricorso è stato bloccato dall'intervento di Hezbollah con la complicità del leader druso Walid Joumblatt.

Per contrastare l'azione, le due forze si sono unite determinando la mancanza del quorum. I due rappresentanti sciiti e il rappresentante della comunità drusa, all'interno di questo organismo composto da 10 membri, non hanno voluto partecipare di proposito alla riunione; in quell'occasione il consiglio era chiamato a decidere sul ricorso volto a ottenere l'annullamento presentato dal Capo dello Stato.

Si è parlato di mancanza del quorum, ma è falso.

Non si tratta di assenza del numero legale, ma di una mossa in due riprese volta a far naufragare il voto. In tema di diritto costituzionale, questa manovra illegale ha un nome ben preciso: abuso di minoranza. È come se l'opinione di tre persone finisse per prevalere sulla volontà delle altre sette; e che il diritto relativo alla proroga del mandato della Camera avesse a tutti gli effetti valore di legge. In questo modo si è sfruttato il principio democratico, mettendolo in contrasto con la democrazia stessa.  

Questo è ciò che sta avvenendo anche in Egitto, dove per via democratica delle forze anti-democratiche hanno iniziato ad abolire quei principi democratici che avevano permesso loro di arrivare al potere. Tutto ciò ha provocato una rivolta popolare e legittimato l'intervento dell'esercito. Anche in questo caso, è possibile affermare che la democrazia è stata usata contro la democrazia stessa.

Sul versante interno, il Libano è in una situazione di stallo totale. Il governo di Nagib Mikati è in carica solo per gli affari correnti, mentre le condizioni poste da Hezbollah impediscono al suo successore in pectore Tammam Salam - uomo della moderazione - di formare un nuovo esecutivo. Le forze antagoniste fra loro sono tali che, in ultimo, finiscono per annullarsi a vicenda.

Come alcuni ritengono, forse che il Libano si sta avviando verso l'esplosione totale? È improbabile, per diversi motivi. Primo fra tutti, la mancanza di una forza in grado di provocare questa esplosione. Come ha fatto notare col suo acume un attento osservatore, la sola forza capace di provocare questa esplosione - la milizia sciita di Hezbollah - non la vuole affatto, perché l'impegno militare in Siria implica di fatto la pace in Libano.

Del resto, se anche lo volesse, la Corrente del Futuro guidata dall'ex premier Saad Hariri (sunnita, figlio di Rafic) non ne ha i mezzi per farlo. Certo, la Corrente del Futuro e con essa una gran parte dei libanesi desidera farla finita con l'armata di Hezbollah che ha paralizzato e messo in crisi il sistema democratico; tuttavia, questa corrente non ha mai desiderato - come i jihadisti ai quali sono odiosamente associati - un bagno di sangue. Al contrario, l'esistenza di una corrente sunnita moderata che ha dato, di recente, il via libera all'eliminazione militare del gruppo estremista facente capo allo sceicco Ahmad el-Assir, è una delle opportunità che si aprono in Libano.

Per ragioni di politica interna, e per la rivalità che vede contrapposte l'Iran e l'Arabia Saudita, Hezbollah - che vuole fare del Paese dei cedri un feudo iraniano - fa di tutto per confondere la corrente musulmana moderata e l'islam estremista. Questa falsificazione è una delle facce della sfida lanciata alle altre comunità da uno sciismo politico attivo, là dove altri hanno fallito, e che si è già ritagliato, in Libano, un territorio autonomo dove le forze regolari dello Stato non hanno accesso senza autorizzazione.

Gli altri fattori che giocano contro una esplosione generalizzata sono, sul piano militare e della sicurezza, la combattività di un esercito che controlla sempre, non senza perdite costose in termini di vite umane, il jihadismo sunnita. A riprova, lo sradicamento con la forza del fenomeno estremista Ahmad el-Assir, così come la relativa esiguità del territorio libanese e la delimitazione assai precisa delle zone franche.

Alcuni temono il fenomeno della sovraffollamento causato dal flusso incessante di migranti siriani, che rischia di comportare gravi conseguenze sociali, economiche e di altra natura. Ma questi fenomeni riguardano più l'ordine pubblico,  che la politica stessa.

Infine, vi è il rischio concreto ma imprevedibile di un Israele "in pericolo di pace", assioma storico che il segretario di Stato Usa John Kerry finge di ignorare. In breve, in questa fase della sua evoluzione politica e sociale, il Libano ha compiuto un passo indietro e si presenta come un insieme di comunità capaci di resistere a quanti cercano di dominarlo, ma incapaci di sapere ciò che vogliono e di stabilire un progetto proprio. Alla base di questo regresso, un partito armato che impedisce il pieno esercizio della sovranità da parte dell'apparato statale libanese; che costituisce il modo per federare e mantenere unite queste comunità. 

 

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