Che cosa è cambiato davvero a Riyadh? Il 'termometro' dei giovani
Secondo puntata del reportage di AsiaNews nei Paesi del Golfo. Dal boom del turismo agli spettacoli, dallo sport all’intrattenimento, l’Arabia Saudita vive una fase di profonda trasformazione. In un delicato equilibrio fra tradizione e modernità, le nuove generazioni “chiave” per interpretare lo sviluppo impresso dal principe ereditario Mohammed bin Salman e i segni di tempi che cambiano.
Riyadh (AsiaNews) - “Una chiave per interpretare i cambiamenti degli ultimi anni in Arabia Saudita è guardare i giovani”. È quanto mi confida una fonte diplomatica europea - dietro garanzia di anonimato - mentre percorriamo in auto le vie centrali di Riyadh, trafficate a ogni ora del giorno e della notte che, nei mesi di novembre e dicembre, si alternano quasi uguali nell’arco delle 24 ore. Oltre il 70% dei cittadini ha meno di 35 anni, con la fascia di età 15-34 che rappresenta una parte significativa e consistente. L’età media è di 26,6 anni, ben al di sotto di quella mondiale che è di 33,6 anni. Nel 2024 le donne saudite avevano in media 2,7 figli, superiore a quella globale di 2,3.
“L’Arabia Saudita si apre a se stessa - prosegue il nostro interlocutore - attraverso i suoi giovani, soprattutto delle aree urbane. È interessante osservarli ed è importante farlo non solo in occasione dei grandi eventi sportivi, della cultura o dello spettacolo, ma nella quotidianità, nei loro interessi che in molti casi assomigliano a quelli dei loro coetanei occidentali, anche se questo discorso non vale per tutti. Una parte resta pur sempre legata alla fazione conservatrice e restia ai mutamenti - precisa - quindi bisogna trovare un equilibrio e questo aspetto, più di altri, risulta difficile. Le aperture, infatti, devono essere assorbite, e digerite, anche se i cambiamenti sono spesso rapidi”.
Un esempio è il passaggio del fine settimana “dal giovedì-venerdì, al venerdì-sabato”, per allinearsi ai mercati finanziari internazionali: “La decisione - commenta la fonte - è stata presa in pochi giorni, mentre non si è fatto ancora niente per il sabato-domenica” con riflessi che esulano dalla sola sfera lavorativa. “Altre, invece, richiederanno tempi più lunghi - prosegue - e incontreranno forse maggiori difficoltà a essere accettate”. Fra i fattori che hanno contribuito ad un progressivo mutamento della società, in particolare dei più giovani che hanno “una mente più aperta” sono “le esperienze all’estero, il vivere immersi nel mondo del business e degli affari. La gran parte di essi - sottolinea - sono millennials usciti [per studio o lavoro] e che poi hanno fatto ritorno in patria”.
Una coppia libanese da oltre 40 anni nel Paese, che abbiamo incontrato in uno degli hotel di lusso nell’area in cui sorgono diverse ambasciate occidentali, ripercorre i primi segnali di reale cambiamento, nel periodo fra il 2017 e il 2018. In passato “la polizia della morale cercava di imporre la frequenza della moschea, anche gli ‘expat’ dovevano indossare l’abaya [femminile] o il Thobe [Dishdasha, versione maschile della lunga tunica tradizionale dei Paesi del Golfo]. E durante il Ramadan, il mese sacro islamico di digiuno e preghiera, nelle aziende - ricorda - ci si doveva fermare, era impossibile mangiare per strada o in pubblico senza il rischio di sanzioni. Si dovevano rispettare alla lettera gli obblighi del Paese e della religione”.
“Fra i primi segnali di apertura - ricorda la coppia - il permesso di guida per le donne, oggi libere di poter uscire di casa da sole, viaggiare all’estero e trovare un lavoro senza l’obbligo di tutela maschile”. Pure in tema di abbigliamento, prosegue l’uomo nel racconto, ora la libertà è “molto maggiore: alcune donne portano il velo integrale, altre lasciano il volto scoperto, altre ancora [come ha potuto vedere chi scrive, sia sul volo di andata che visitando Riyadh e la città costiera di Jeddah, laddove vi è comunque maggiore rigore per la vicinanza alla Mecca] ricordano le ragazze in Occidente”. In quest’ottica la leadership, conclude, cerca di “mostrare all’esterno una immagine diversa da quella stereotipata, fornita troppo spesso in questi anni dai media stranieri”.
Visitando l’Arabia Saudita si ha la netta percezione di una realtà in evoluzione sia a livello di infrastrutture, con cantieri aperti ovunque dalla capitale al mar Rosso, che culturale e umano, sebbene la religione musulmana resti pur sempre il punto di riferimento. Parlando con diplomatici o lavoratori migranti da decenni nel regno l’opinione comune è che la mente di questo cambiamento, che non rinnega ma ripensa la tradizione, sia Mohammed bin Salman. Nato a Riyadh il 31 agosto 1985, egli ha oggi 40 anni ma dall’età di 32 (la nomina è del 2017) ricopre la carica di “crown prince”, diventando di fatto l’uomo forte e vero leader di uno Stato guidato nominalmente dal padre re Salman, il quale era asceso al trono nel gennaio 2015. Il primo incarico pubblico risale a quasi 11 anni fa come ministro della Difesa, poi ad aprile 2015 vice principe ereditario e due anni più tardi diventa erede a pieno titolo, mentre nel 2022 ottiene anche la nomina di Primo Ministro.
Il suo fiore all’occhiello è la “Vision 2030”: una sorta di programma politico, economico e sociale per gli anni a venire che poneva al centro del progetto le nuove generazioni, pur non mancando elementi di criticità fra cui le morti sul lavoro e la fattibilità di mega-progetti come Neom, la città costiera sul Mar Rosso. Lo stesso principe ereditario aveva sottolineato il valore, e il potenziale, delle giovani generazioni al momento del lancio del piano nel 2016. “La nostra vera ricchezza - ha dichiarato all’epoca Mbs - risiede nell’ambizione della nostra gente e nel potenziale della nostra generazione più giovane. Sono l’orgoglio della nazione e gli architetti del futuro”.
Il programma strategico di sostegno allo sviluppo prevede un rafforzamento dell’istruzione, della formazione specializzata, di progetti tecnologici, sport ed e-sports, cultura ed energie rinnovabili. In questo senso va inquadrato il boom dell’industria dell’intrattenimento, sport e spettacolo con concerti impensabili fino a pochi anni fa come le esibizioni dei Guns and Roses, Christina Aguilera e The Kid LAROI. A questi si aggiunge l’evento musicale simbolo del regno, oltre che il più importante del Medio oriente: il Soundstorm festival di musica elettronica, con star globali affiancate da talenti locali, per una tre giorni nel deserto celebrata la prima volta nel 2019 e giunta alla sesta edizione (nel 2020 non si è tenuta per la pandemia di Covid-19). Infine il turismo, non solo quello religioso dei pellegrinaggi alla Mecca ma anche quello legato a svago e vacanza, con un “vero e proprio boom - conferma un operatore locale - da diverse aree, compreso l’Occidente”.
I numeri sembrano confermare il potenziale cui fa riferimento bin Salman: secondo alcuni studi la maggior parte delle principali economie mondiali - Giappone e Cina solo per citarne alcuni - entro il 2100 perderanno fra il 20 e il 50% della popolazione per l’invecchiamento. Discorso opposto per la monarchia del Golfo che ha raggiunto i 35,3 milioni nel 2024 (i sauditi sono il 55%) e un tasso di crescita del 2,52% trainato da nascite e immigrazione. A dispetto di una diminuzione complessiva dei tassi di fertilità globali, le prospettive rimangono positive per l’Arabia Saudita che conferma una crescita progressiva delle nuove generazioni.
Artefice del cambiamento è come detto bin Salman, che sembra aver allontanato le ombre dei primi anni al potere, fra il 2015 e il 2018. Sul fronte internazionale lo scontro con l’Iran e la rottura delle relazioni diplomatiche dopo l’assalto all’ambasciata saudita a Teheran, poi rientrato con la mediazione cinese, la “crisi” del Golfo con Doha, oltre alla guerra agli Houthi in Yemen. In tema di diritti e repressione interna due gli episodi controversi: l’omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, voce critica del governo di Riyadh e del principe ereditario, consumato all’interno del consolato a Istanbul e quella che viene ricordata come “La notte dei diavoli della paura”, con l’arresto di numerosi componenti della famiglia reale. “Poi la svolta - chiosa la fonte diplomatica - con la trasformazione da uomo della guerra a principe della diplomazia, delle riforme e dello sviluppo” per traghettare la nazione oltre la dipendenza del petrolio, verso un nuovo futuro.
“È interessante - racconta uno studioso europeo camminando a Deera Square, meglio nota come Chop-Chop Square o Piazza della Giustizia, dove un tempo si eseguivano le condanne a morte in pubblico per decapitazione - cercare di capire la visione politica e internazionale di Mbs. Egli vuole rendere il Paese attore globale credibile e un partner diplomatico [vedi i tentativi di mediazione fra russi e ucraini], sostenendo i cambiamenti interni”. Agli inizi, prosegue, “all’esterno era considerato, forse in maniera superficiale, l’uomo della guerra, ma con la Vision 2030 l’approccio è cambiato” dopo aver però “ridotto i margini di azione di quanti potevano fargli ombra”. Alcuni fattori di criticità restano: in tema di diritti e libertà - anche quella religiosa - vi sono ancora ampi margini; la pena di morte “è tuttora in vigore”, ricorda la fonte di AsiaNews, ma “il processo è avviato. La ‘vecchia guardia’ è sempre presente - conclude - pur essendo ai margini da che il Paese ha superato la visione radicale e conservatrice”.
Segni dei tempi che cambiano, e che emergono da alcuni segnali che, altrove, potrebbero apparire insignificanti. E ordinari. Come la probabile apertura a Riyadh, entro il 2026, di “un luogo specializzato” dove sarà possibile “la vendita di alcolici” seppur di grado moderato “come il vino o la birra, mentre resteranno esclusi quelli ad alta gradazione” racconta un funzionario di ambasciata, i soli luoghi in cui sinora era possibile portare bevande alcoliche. “Musica, cinema, sport e ora le bevande alcoliche - sottolinea la fonte, da una decina di anni di stanza nel Paese del Golfo - sono tutti segnali di una società che muta, secondo una filosofia ben precisa: quella dell’annuncio. I vertici governativi - osserva - usano questa tecnica per ‘testare’ la reazione della popolazione in tutte le sue fasce ed età. Dopo aver guidato la fase dell’annuncio e aver verificato le reazioni sul terreno, anche negative, si decide si introdurre o meno la riforma, il cambiamento, la legge”.
“Riguardo alla vendita di alcol - spiega il funzionario - sono apparsi diversi articoli da giugno sui giornali sauditi in cui si prospetta l’apertura di negozi ad hoc. Dopo l’annuncio, attendiamo la risposta finale con un unico, vero timore: che in una metropoli come Riyadh già caotica e con un traffico spesso anarchico, la guida in stato di ebrezza non contribuisca ad un aumento del numero di decessi e di sinistri”. Del resto, anche il tema delle vittime della strada, conclude, “é una delle grandi questioni che hanno guidato la stesura della Vision 2030 di Mbs e che ha già determinato un crollo del 50% dei morti dal 2016 a oggi”.
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