29/08/2013, 00.00
CINA
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Cina, costretta ad abortire al nono mese perché suo marito ha già un figlio

Lili Zeng ha subito l’induzione delle doglie e al figlio è stata fatta un’iniezione letale sul cranio: nonostante tutto questo è nato vivo, per poi morire fra le braccia della madre. L’operazione imposta dal compagno della donna, che l’aveva abbandonata e aveva già avuto un figlio da un precedente matrimonio. La condanna di Women’s Rights Without Frontiers.

Pechino (AsiaNews) - Costretta ad abortire al nono mese per colpa di una ripicca dell'ex marito, trattata "come un maiale in attesa di essere sgozzato", vedere il proprio figlio nascere nonostante l'aborto e tenerlo fra le braccia mentre muore. È la terribile storia di Lili Zeng, giovane madre della contea di Xinfeng (nella ricca provincia meridionale del Guangdong), ennesima vittima della politica del figlio unico in vigore in Cina. La sua storia è raccontata da Women's Rights Without Frontiers, Organizzazione non governativa guidata da Reggie Littlejohn che si batte da anni per salvare vite innocenti nel dragone dell'Asia.

La tragedia della Zeng inizia nel 2011, quando rimane incinta. Il marito la abbandona e, avendo avuto un altro figlio dalla prima moglie, firma la richiesta per far abortire la moglie attuale. Secondo la legge cinese, l'aborto può essere imposto con la forza se uno dei due coniugi non vuole avere figli; inoltre, il fatto che uno solo dei due sia già genitore basta e avanza per bloccare la gravidanza in corso. Le autorità non considerano l'abbandono del tetto coniugale e le denunce della Zeng, secondo la quale l'ordine di aborto è "una ripicca della prima compagna del marito". Al nono mese, dati i tempi della burocrazia, la chiudono in ospedale per l'intervento.

Si tratta di una procedura rischiosissima, molto dolorosa e del tutto ingiustificata: "Mi sentivo come un maiale pronto per essere scannato". Nonostante l'iniezione letale nel cranio e le doglie provocate da un farmaco, il bambino nasce vivo: morirà tra le braccia della madre poco dopo. Uscita dall'ospedale, Lili Zeng cerca per tre volte di uccidersi ma fortunatamente non ci riesce: inizia una battaglia per ottenere giustizia attraverso i canali ufficiali e si rivolge al suo Ufficio di pianificazione familiare di riferimento.

Uno dei funzionari, dopo mesi di sollecitazioni, le dice: "Se vuole biasimare qualcuno, se la prenda con la legge sul figlio unico o con suo marito. Se lui non avesse firmato l'autorizzazione, nessun dottore si sarebbe mai azzardato a intervenire sulla sua gravidanza. Ma ora l'avviso: se continua a importunarmi, sarò costretto a trovare qualcuno che la metta al suo posto".

Secondo Reggie Littlejohn "questa storia spezza il cuore. L'esperienza di Lili Zeng dimostra in maniera drammatica quale sia la connessione fra gli aborti forzati e i suicidi femminili in Cina, che oramai si attestano sui 590 al giorno. E dimostra anche quanto siano terribili i termini della legge sul figlio unico, che permette a un uomo di costringere una donna ad abortire anche se non è ancora madre. Chiediamo al governo cinese di fermare immediatamente queste atrocità".

 

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