22/07/2005, 00.00
Corea del sud
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Coreani scontenti della settimana corta: troppa ansia nel tempo libero

di Pino Cazzaniga

Seoul (AsiaNews) - Secondo un'inchiesta governativa, la maggior parte dei coreani non sono contenti di lavorare solo 5 giorni alla settimana. Il nuovo stile di vita è stato varato solo di recente. Nel giugno del 2004 il parlamento della Corea del Sud ha approvato una legge che stabilisce la settimana lavorativa di 5 giorni per gli impiegati delle agenzie statali, delle istituzioni finanziarie e delle ditte private con più di 1.000 operai. Due settimane fa la medesima legge è stata estesa anche alle ditte con più di 300 lavoratori. L'intento della legge è migliorare la qualità della vita dei cittadini. Ma di recente il ministero della Cultura e del Turismo ha curato un' inchiesta tra un gruppo di adulti i cui datori di lavoro hanno adottato la settimana corta: il 57 % hanno dichiarato di essere insoddisfatti del maggior tempo libero a disposizione.

"Ho gioito quando è stato annunciato il nuovo sistema. Ma adesso dopo aver fatto turismo fuori città ogni fine settimana con la famiglia, non so più dove andare. Mi capita di sentirmi ansioso pensando al fine settimana", cosi' ha detto il signor Lim, impiegato in una compagnia di cambio. Oltre al problema della programmazione del tempo libero c'è pure quello dei costi. L'83% degli intervistati ha detto che le spese per il tempo libero sono aumentate, mentre il salario è rimasto invariato. Inoltre l'insufficienza di infrastrutturee culturali e di divertimento e l'inadeguatezza della viabilità nelle campagne costringe i vacanzieri a dispendio di energie e di denaro.

Le giornate lavorative sono diminuite ma la quantità di lavoro da espletare rimane quello di prima, specialmente nelle ditte modeste. Da qui la necessità di aumentare l'intensità di lavoro con relativo stress. "Da quando è cominciata la settimana lavorativa di cinque giorni, durante il fine settimana non penso altro che a dormire, perchè ogni giorno devo andare in ditta piu' presto di prima e sono sovraccaricato di lavoro", ha dichiarato un impiegato della Daewoo Securities.

"La settimana lavorativa corta", si legge in un editoriale del The Korea Times, " è una sfida per la Corea che, nel mondo, è forse la nazione che lavora piú sodo". Il altre parole, i coreani esemplari nel lavoro non hanno imparato a riposare. "Il problema, continua l'editorialista, è che la nazione nel settore del lavoro industriale ha ottenuto in pochi decenni risultati per raggiungere i quali le nazioni dell'occidente hanno impegato secoli. Sono pero' rimasti arretrati culturalmente e socialmente".

Il giudizio è severo e forse anche appropriato se espresso da critici coreani. Ma sulla bocca di un occidentale sarebbe criticismo arrogante e astorico. Durante la dinastia Choson (1392-1910) per oltre 500 anni il popolo coreano non ha fatto altro che lavorare per una classe dirigente che ha strumentalizzato una rigida cultura confuciana per i propri interessi; poi per altri 35 anni sono stati servi del governo imperialista nipponico. La divisione della penisola in due tronconi nel 1948, la tragica guerra civile dell'inizio degli anni '50 e i governi dittatoriali nei decenni seguenti hanno ostacolato il progresso sociale. L'instaurazione di sode strutture democratiche dall'inizio degli anni '90 nella Corea del sud  ha permesso iniziative e legislazioni che mirano al miglioramento della qualità della vita dei cittadini. La legge in favore del tempo libero e' una di queste.

Ma avere una buona automobile serve a poco se non si sa guidarla. Il professor KimChung-woon dell'università Myongji ha detto che "per godere del tempo libero i coreani devono imparare a spenderlo saggiamente assieme alle loro famiglie". Anche per questo apprendistato la cooperazione governativa è indispensabile.

"La legge che stabilisce la settimana lavorativa di cinque giorni è solo un inizio" conclude l'editorialista coreano.  "Ora è necessaria una stretta cooperazione tra governo e cittadini per fare della Corea una nazione all'avanguardia non solo nell'etica del lavoro ma anche nella cultura e nella qualità delle vita"

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