02/01/2009, 00.00
LIBANO
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Da Beirut solidarietà ai palestinesi di Gaza, ma senza sostegno militare

di Fady Noun
L’attacco israeliano è sproporzionato e frutto della propaganda interna, in vista delle elezioni politiche. Hezbollah, vicina ad Hamas, scarta l’ipotesi di una nuova guerra con Israele e invoca l’apertura di valichi umanitari. Le divisioni nel mondo arabo non favoriscono la risoluzione della crisi.
Beirut (AsiaNews) – Approfittando di un “tempo morto” a livello internazionale, di un periodo di transizione fra le due amministrazioni repubblicana e democratica negli Stati Uniti e a qualche settimana dalle elezioni politiche, Israele ha scatenato una vasta offensiva contro Gaza, inaugurata con raid aerei dalla portata devastatrice. Certo, Hamas ha fornito a Israele il pretesto ideale per farlo, preferendo l’escalation militare al prolungamento di una tregua di diversi mesi con lo Stato ebraico. Ma i mezzi utilizzati da Israele sono talmente sproporzionati se confrontati alla violenza subita, da domandarsi se lo Stato ebraico non abusi sin troppo dell’ingenuità dell’avversario e se questa offensiva non faccia parte della campagna elettorale del partito Kadima. In ogni caso, si tratta di una vera e propria carneficina di cui Israele dovrà, un giorno o l’altro, rendere conto.
 
In Libano questo dramma è vissuto con preoccupazione per i passi che potrà intraprendere Hezbollah per venire in aiuto di Hamas, l’alter ego sunnita di Hezbollah, ed entrambe nella sfera di influenza politico-militare dell’Iran. Ancora, Hamas – come Hezbollah – è considerata una “organizzazione terrorista” da un Occidente che, prendendo i suoi desideri come realtà, cancella con un tratto di matita popolazioni intere quando non sono di suo gradimento.
Finora Hezbollah non ha dato l’idea di voler intervenire militarmente per aiutare Hamas, aprendo un secondo fronte a partire dal Libano meridionale. Disponendo di un arsenale di razzi ben più potente di quello di Hamas, potrebbe essere tentato a farlo, se i vantaggi a livello strategico fossero significativi. Ma questi vantaggi non sono, al momento, evidenti. Inoltre, il ricordo della guerra del luglio 2006 con il suo strascico di morti e devastazioni è ancora oggi vivo nella memoria dei libanesi e, soprattutto, Hezbollah fa oggi parte di un governo di unità nazionale. Il movimento è dunque consapevole del fatto che qualsiasi iniziativa dovesse prendere, sarebbe vista da Israele come una rottura dello status quo con il Libano, in violazione della risoluzione 1701 delle Nazioni Unite, e che essa scatenerebbe di conseguenza una reazione militare israeliana dalla portata devastante, come testimonia la guerra del 2006.
 
Del resto, per bocca del suo presidente Michel Sleiman, il Paese ha detto “no” a una nuova guerra con Israele. Commentando, nel corso di una visita al quartier generale della Finul a Naqoura, il ritrovamento in un luogo non molto distante di otto razzi puntati verso Israele e programmati per essere lanciati, il presidente ha affermato che il Libano “non è una piattaforma di lancio”. In breve, che il Libano non deve essere sfruttato, ma utilizzato. Questo orientamento è stato confermato, due giorni più tardi, dal governo libanese, secondo il quale il dovere di solidarietà del Libano verso Gaza si manifesterà nei settori umanitario, politico e diplomatico.
 
Per il momento Hezbollah ha scelto di portare avanti una battaglia a livello politico contro l’Egitto, la più grande potenza araba a livello regionale. Il movimento ha esortato direttamente la popolazione egiziana ad aprire, esercitando pressioni di piazza, un passaggio al valico di Rafah; esso è indispensabile per una resistenza militare e civile, dopo il prolungato isolamento della Striscia di Gaza. L’Egitto ha considerato tale appello una forma di ingerenza negli affari interni e ha reagito in maniera energica. L’apertura del passaggio è, in realtà, in totale contraddizione con la sua politica di sostegno all’Autorità palestinese in Cisgiordania e del suo presidente Mahmoud Abbas.
 
Il 31 dicembre si è tenuta una riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dei Paesi arabi al Cairo, per discutere della crisi in corso. Come d’abitudine, questa riunione è stata preceduta da una serie di lavori preliminari volti alla stesura – anticipata – di un “comunicato finale” diffuso al termine del vertice. La bozza di comunicato congiunto, elaborata dall’Egitto, ipotizza un cessate il fuoco immediato a Gaza, la ripresa del dialogo, la riconciliazione all’interno dello schieramento palestinese fra Fatah e Hamas e la creazione di contatti a livello regionale e internazionale a cura di una commissione ministeriale araba.
 
Uno dei punti deboli del progetto è che Il Cairo, in caso di accordo, scarterebbe l’ipotesi di un vertice dei Paesi arabi, mentre la Siria, presidente di turno della Lega Araba, ha invocato un vertice arabo da tenersi oggi, in Qatar, secondo le indicazioni giunte da Doha. Una prova ulteriore del fatto che le divergenze all’interno del mondo arabo sono ben lungi dall’essere risolte.
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