21/09/2005, 00.00
MALAYSIA
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I malay convertiti al cristianesimo "non possono rinunciare all'Islam"

Schiere di convertiti sono bollati come "apostati" , praticano la loro nuova fede cristiana di nascosto e temono le violenze della sharia. Per la Costituzione "cittadino malay è colui che professa l'Islam".

Kuala Lumpur (AsiaNews/Agenzie) – In una società dove chi nasce malay viene dichiarato in modo automatico musulmano, Lina Joy deve combattere per essere riconosciuta cristiana. Una Corte giudiziaria superiore ha infatti stabilito lunedì 19 settembre che i malay (uno dei 4 gruppi etnici - malay, cinesi, indiani, tribali - che compongono il Paese) "non possono rinunciare all'Islam": in questo modo i giudici hanno reso chiaro alla donna che non può praticare in maniera libera la sua nuova religione.

Azalina Jailani – che ha cambiato il proprio nome in Lina Joy nel 1998, dopo la conversione al cristianesimo – si è recata davanti alla Corte composta da 3 giudici (2 musulmani ed 1 indù) che hanno dichiarato la sua rinuncia all'Islam "impossibile senza il permesso delle autorità religiose musulmane". I giuristi hanno poi chiarito che la legge "non garantisce né prevede una procedura che impone a queste autorità di riconoscere il cambio di religione".

Il giudice Sri Ram, di religione indù, dice che la donna potrebbe cambiare religione dichiarando in modo ufficiale di non essere musulmana ma aggiunge che la libertà religiosa è garantita nel Paese e che quindi non dovrebbe esservi alcun bisogno di permessi.

Lina Joy si è presentata davanti alla Corte per costringere il Dipartimento di registrazione nazionale a cambiare sulla sua carta di identità la voce "Islamica" con "Cristiana", per poter sposare con rito civile il marito cristiano. Questa situazione riguarda circa 15 mila malay che vorrebbero vivere liberamente la propria fede cristiana. "La decisione di lunedì – dice un legale musulmano che ha rappresentato un gran numero di apostati – lascia moltissimi convertiti in uno stato di limbo perpetuo".

La Costituzione definisce il cittadino della Malaysia di razza malay come una persona che professa l'Islam, parla il linguaggio nazionale e ne pratica la cultura. Secondo la Carta costituente chi rinuncia all'Islam cessa di essere malay. "Siamo molto dispiaciuti – dice una donna cristiana, madre di 3 figli – perché avevamo grandi speranze su questa sentenza". "Noi malay – continua – siamo considerati non-persone nel nostro Paese perché cristiani".

Nonostante la legge garantisca la libertà religiosa i convertiti vivono nella paura, perché i musulmani considerano l'apostasia come un crimine terribile. La shari'a (legge islamica) malay punisce gli apostati con la "riabilitazione" forzata o con il carcere ed il Corano promette "morte e dannazione" per il musulmano che ne aiuta un altro a rinunciare all'Islam. Molti fra i convertiti sono studenti che hanno cambiato fede durante la permanenza all'estero. Altri sono invece sposati  con dei cristiani e vogliono che le autorità islamiche riconoscano la loro fede e quella della loro famiglia.

Una donna cristiana di 48 anni dice: "Siamo discriminati e virtualmente viviamo delle vite sotterranee. Gli amici, i parenti, i nostri stessi fratelli ci evitano". Secondo alcuni esperti giuristi vi è la necessità di una volontà politica che riconosca e cerchi di risolvere il dramma degli apostati in Malaysia. Secondo un accademico "il problema può essere risolto tramite un emendamento costituzionale che inserisca la nuova categoria di malay non-musulmano".

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