16/04/2022, 10.30
MONDO RUSSO
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Il Calvario d’Europa tra Russia e Ucraina

di Stefano Caprio

Nella spiritualità russa una categoria di santi sono gli strastoterptsy, “coloro che soffrirono la passione”, spesso perseguitati per motivi politici, che hanno saputo vivere la prova dando testimonianza di una fede profonda. Come i sacerdoti ortodossi che oggi sono disposti a pagare un prezzo per invocare la fine dell’aggressione dell'Ucraina: "Non sono morto e non sono volato su Marte, non abbandono il sacerdozio, ma non posso pregare per la guerra”.

Mentre si compiono i giorni della Pasqua cattolica, la Chiesa Ortodossa entra nella Settimana Santa più tormentata della sua storia, nella guerra finale tra le sue anime d’Oriente e d’Occidente. Il papa Francesco ha cercato di anticipare gli esiti del conflitto facendo abbracciare la Croce da due donne, Alina e Irina, due amiche-sorelle del popolo lacerato da una infinita Quaresima di morte e distruzione, massacri e veleni, con le stazioni che prendono i nomi delle città-martiri di Mariupol, Kharkiv, Bucha e tante altre. La speranza è che possa iniziare una Risurrezione dell’Ucraina e della Russia insieme, dell’Europa e del mondo intero.

Gli appelli di pace del pontefice si rivolgono ai fratelli ortodossi e greco-cattolici ucraini, angosciati per l’invasione benedetta dal patriarcato che pretende di sottomettere tutti i credenti sotto lo scettro imperiale di Mosca, e agli stessi ortodossi russi, con cui si vorrebbe ritrovare uno sguardo comune sulla storia e sul senso della missione della Chiesa. Francesco non chiude la porta a Kirill, nonostante lo scandalo delle sue omelie che proclamano la “crociata” contro gli infedeli occidentali per la riconquista della “terra santa” di Kiev. Egli spera che le bombe e i missili possano essere sostituiti dalle armi della fede e della santità, di cui la Russia ha riempito nel tempo un immenso arsenale.

Il patriarca di Mosca ha sposato la causa dello zar, a cui si è sottomesso come da tradizione della “sinfonia” ortodossa, giustificandola con la necessità di restaurare le comuni radici della fede “di tutte le Russie” e l’unità del popolo con chi detiene il potere, nello spirito della sobornost, la comunione sociale e spirituale, e della narodnost, il populismo zarista che veniva proclamato insieme agli altri due principi istitutori dell’impero, l’autocrazia e l’ortodossia, nella “triade ottocentesca” degli slavofili. Oltre alle omelie domenicali di Kirill, altri vescovi e metropoliti russi hanno aggiunto in questi giorni i loro appelli alla guerra santa, ai quali si contrappongono peraltro gli aneliti di pace di molti sacerdoti.

Accanto al patriarca si esprime il suo principale collaboratore, il metropolita Ilarion (Alfeev), che tenta di sostenere la “via diplomatica” della Chiesa russa. Confermando ogni giorno la volontà di incontrare il Papa, probabilmente a giugno in Medio Oriente, a Gerusalemme, a Beirut o a Damasco, Ilarion manifesta chiaramente la necessità vitale del patriarcato di Mosca di non rimanere isolato nel mondo cristiano. Il metropolita incontra delegazioni e ambasciatori di ogni latitudine e confessione religiosa, assicurando che “stiamo lavorando scrupolosamente” perché si possano trovare vie di dialogo e comprensione reciproca, evitando di erigere barriere insormontabili per gli anni o i secoli a venire.

L’altro metropolita di primo piano del patriarcato di Mosca è il “padre spirituale” di Putin, Tikhon (Ševkunov). Per il primo mese di guerra egli non ha fatto sentire la sua voce, anche per non sovrapporsi a quella del patriarca ed evitare divergenze nei toni, che nel suo caso sono ancora più esplicitamente ideologici e “politici” di quelli misticheggianti e “metafisici” di Kirill. In questi giorni Tikhon ha infine deciso di rispondere direttamente alle domande dei suoi fedeli di Pskov in un dialogo molto franco ed esplicito, come nel suo stile, “perché non si può non parlare di queste cose, la nostra generazione non aveva ancora conosciuto una situazione così tragica, una tale sofferenza e disagio”.

Tikhon è uno degli ispiratori diretti del presidente, e racconta nei dettagli la “nazificazione” delle città e dei villaggi ucraini, dove “dopo il 2014 hanno cominciato ad apparire dei giovani sconosciuti che si sono messi a proclamare che avrebbero combattuto contro i nemici dell’Ucraina”. Questi “giovani combattenti”, nel racconto del metropolita, andavano in giro a picchiare le persone con i bastoni accusandole di essere dei nemici, “solo perché si rifiutavano di odiare la Russia”. Così raccontano i “profughi ucraini” che sono giunti in massa anche a Pskov, spiegando come abbiano vissuto per anni nel terrore, dopo aver visto anche un sacerdote ortodosso picchiato selvaggiamente dai “nazisti”. Tikhon ricorda eventi del passato e delle lotte fratricide dei popoli della Rus’, concludendo con una citazione poetica del russo Maksimilian Vološin che così commentava la guerra civile del 1919: “E io rimango solo in mezzo a loro / nel fumo e tra le fiamme roboanti / e con tutte le mie forze / prego per gli uni e per gli altri”. Per questo il metropolita invita a vivere questi giorni santi “pregando per i nostri fratelli ucraini, per il metropolita Onufryj di Kiev e il gregge comune della Chiesa ortodossa, come facciamo da anni nella cattedrale di Pskov e nel monastero delle Grotte della nostra eparchia… così preghiamo in tutta la Russia, le persone pregano per l’Ucraina come per sé stesse, affinché si realizzi il piano della Provvidenza divina.

Nel dialogo con i fedeli, Tikhon ricorda le profezie di antichi santi monaci ucraini, come lo starets Lavrentij di Černihiv, morto nel 1950, che parlava di Kiev come della “nuova Gerusalemme, madre di tutte le città della Rus’, e non si può pensare che possa essere separata dalla grande Russia, come non si può dividere la Santissima Trinità”. Questa citazione è stata usata anche dal patriarca Kirill, che parla dei popoli della Santa Rus’ come “popoli trinitari”. Un altro noto predicatore fu lo skhiarkhimandrit Iona (Ignatenko) del monastero di Odessa, morto nel 2012, che prediceva “grandi prove che cominceranno un anno dopo la mia morte, non dall’esterno, ma dall’interno della Russia”. Il metropolita conclude con un augurio per cui “noi non vogliamo la vittoria sul popolo ucraino, a noi serve la pace secondo la volontà di Dio”.

Molti altri vescovi e igumeni russi si rivolgono in questi giorni ai fedeli per spiegare le ragioni della guerra santa, ma vi sono anche molti sacerdoti che intervengono coraggiosamente per invocare la fine dell’aggressione, sia con appelli collettivi, sia con prese di posizione e scelte drammatiche. Un sacerdote della eparchia di Kostroma, Ioann Burdin, si è dimesso dalla sua parrocchia nel villaggio di Karabanovo, spiegando le ragioni del suo gesto sul canale Telegram: “ho chiesto di essere trasferito ad altra eparchia, ma non so dove andrò, voglio solo ripetere le parole del poeta Aleksandr Galič: scelgo solo la libertà dentro me stesso. Non sono morto e non sono volato su Marte, non abbandono il sacerdozio, ma non posso pregare per la guerra”. Dopo le prime omelie pacifiste, padre Ioann era stato arrestato e multato, e alcuni parrocchiani avevano raccolto firme per il suo allontanamento perché “soffocato dall’orgoglio” insieme al suo ispiratore, il 90enne protoierej Georgij Edelštein, uno dei “padri spirituali” del dissenso in epoca sovietica. Il metropolita di Kostroma Ferapont (Kašin) aveva a sua volta condannato Burdin e Edelštein, affermando che “i sacerdoti non hanno il diritto di esprimere posizioni non ordinarie senza il permesso del superiore ecclesiastico”, e comunque “i martiri non sono mai quelli che lottano contro il regime vigente”.

Lo ieromonaco Ioann (Guaita), un italiano convertito all’Ortodossia che ora serve come sacerdote nella chiesa dei Ss. Cosma e Damiano al centro di Mosca, ha pronunciato una predica brevissima, di soli 40 secondi, ricordando che “Giovanni il Precursore era un santo e un profeta che ha pagato con la vita perché diceva la verità; è triste che noi abbiamo così paura di dire la verità da essere pronti a rinunciare a tutto per non rischiare. Amen”. Il 33enne diacono Dmitrij Baev di Vjatka ha pubblicato sulla sua pagina del social “VKontakte” una serie di post presi dal canale Telegram “Klirik” che invitano a fermare la guerra in Ucraina; nel suo appartamento ha fatto irruzione la polizia denunciandolo a piede libero, e anch’egli ora non sa quale sarà il destino della sua vita e del suo servizio alla Chiesa. Intervistato da Radio Svoboda, Dmitrij ha detto che “la Russia oggi non è più il Paese che conosciamo e si chiama RuZZia, non ha più un popolo, ma soltanto una massa di residenti senz’anima, che amano vivere nell’illusione di un’effimera grandezza”.

Il diacono chiama molti suoi confratelli sacerdoti dei “clown in abito talare”, ma secondo lui questi “non riflettono il vero pensiero della Chiesa, e inducono molti fedeli nell’errore”. Moltissimi sacerdoti, secondo Baev, non sono d’accordo con questi proclami, ma hanno timore di perdere ogni cosa, e spesso sono padri di famiglie numerose in cui gli stessi figli diventano sacerdoti e mogli di sacerdoti. Secondo lui “la vera fede del nostro popolo non sta nelle favole sull’antica Rus’, ma nella capacità di compassione e di offerta della sofferenza”, che si spera possa rinascere dopo questo tremendo conflitto.

Esiste nella spiritualità russa una categoria di santi che esprimono proprio questa autentica tradizione: sono gli strastoterptsy, “coloro che soffrirono la passione”, spesso perseguitati per motivi politici, che hanno saputo vivere la prova dando testimonianza di una fede profonda. Già nella Rus’ di Kiev i primi “martiri passivi” furono i principi Boris e Gleb, uccisi dal fratello Svjatopolk che intendeva sottomettere tutte le terre al suo potere: invece di fuggire, andarono incontro alla morte cantando inni liturgici. L’ultimo di questi santi è lo zar Nicola II, assassinato dai bolscevichi nel 1918 con tutta la famiglia. Era un uomo mite che aveva commesso gravissimi errori durante il suo regno, comprese repressioni e stragi, ma alla fine seppe vivere il dramma della rivoluzione affidandosi a Dio. La Chiesa russa lo ha canonizzato nel 2000, proprio all’inizio del regno di Putin, che ora sta finendo nel sangue la sua parabola storica. Solo i martiri possono salvarci dalla scomparsa della santa Russia, e dalla fine di ogni sogno di riunire tutti i cristiani sotto la Croce di Cristo.

 

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