27/12/2022, 10.26
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Il Natale dei cristiani di Gaza, a rischio scomparsa fra endogamia e migrazioni

di Dario Salvi

Il parroco racconta il clima di festa per le celebrazioni e i timori per un futuro incerto. I tentativi di fuga, soprattutto dei giovani, sono “una piaga aperta” per le famiglie palestinesi “spezzate”. Le proteste contro Hamas ai funerali di otto gazawi annegati nel tentativo di attraversare con i barconi il Mediterraneo. P. Romanelli: se non cambia la politica di Israele, la comunità “è destinata a morire”. 

Milano (AsiaNews) - La questione migrazione “una piaga aperta” fra le famiglie palestinesi “dall’inizio della guerra arabo-israeliana”, prova ne è il fatto che “difficilmente è possibile trovare una famiglia nata in Palestina e che è rimasta in ogni suo componente”. Anche per chi vive ancora oggi in questa terra, il problema della divisione resta attuale perché “da Gerusalemme est, a Gaza e in Cisgiordania, vi sono milioni di persone sperate fra loro” proprio perché non vi è libertà di spostamento. A raccontare le spine irrisolte di una regione segnata da conflitti e violenze, spesso passate sotto silenzio, è il parroco di Gaza p. Gabriel Romanelli, che se da un lato ha vissuto con “gioia” le celebrazioni del Natale, dall’altro denuncia la mancanza di prospettive per una popolazione segnata dalle sofferenze. “Chi vive nella Striscia - spiega ad AsiaNews - non può visitare un parente a Betlemme o Gerusalemme. Inoltre, quasi tutti hanno un familiare in Libano, in Australia, in Nuova Zelanda o in America. Un dolore visibile soprattutto sui volti delle mamme, che osservano in silenzio i figli andare via. Famiglie spezzate, senza una soluzione o una prospettiva”. 

Hamas e i migranti 

Di recente migliaia di persone hanno partecipato ai funerali di otto persone, originarie di Khan Yunis, affondate circa due mesi fa mentre cercavano di migrare dalla Tunisia verso le coste dell’Europa. Uno dei tanti barconi della disperazione che solcano le acque del Mediterraneo, in cui sono affondati sogni e speranze di un gruppo di giovani che hanno abbandonato Gaza, una prigione a cielo aperto, per costruirsi una vita nuova. Le esequie sono diventate occasione per mostrare il dissenso pubblico verso Hamas, che governa un territorio da 15 anni sottoposto a un durissimo blocco imposto da Israele (ed Egitto). Al gruppo militante si muove l’accusa di non curarsi dei giovani e di non lottare per offrire loro opportunità di lavoro e riscatto.

“L’emigrazione - spiega p. Romanelli - non è un fenomeno raro. Io sono arrivato a Gaza nel 2019, l’anno precedente le stime parlano di almeno 10mila giovani partiti, la maggior parte musulmani in direzione dell’Egitto e i numeri sono in crescita. Siamo due milioni e 300mila abitanti, in molti usano cellulari e social come una finestra sul mondo reale e vedono che vi sono altre opportunità di pace, libertà, dove ci sono acqua ed elettricità. Il delitto per molti è essere nati qui, perché di norma in prigione vanno i criminali e non vi è ragione di rinchiudere un’intera popolazione, negandole speranze e futuro”. “Il movimento verso l’estero - prosegue il sacerdote - è continuo, anche perché circa il 50% degli abitanti non hanno lavoro. Vi sono tentativi di fuga via mare, ma non quello di Gaza perché è impossibile: qualche miglia al largo vi è la marina israeliana, nessuno potrebbe forzare il blocco” e fuggire in direzione dell’Europa. “La direzione è sempre verso l’Egitto, poi la Libia o più spesso la Turchia dove vi sono barconi che contrattano la traversata, lasciandoli nelle acque territoriali della Grecia, anche a 14 o 15 km dalla costa. Chi può compie l’ultima parte a nuoto, mentre gli altri restano in attesa dei soccorsi”. I più sfortunati affondano e perdono la vita, come successo agli otto ragazzi la cui morte ha infiammato le piazze della Striscia. 

Le violenze e il muro di silenzio

La questione migrazione è collegata alle violenze - e i morti - in Terra Santa, che nell’anno che si sta per concludere si sono consumate nel silenzio della comunità internazionale più interessata ad altri dossier, primo fra tutti la guerra russa in Ucraina. Ora si attendono le mosse del nuovo governo, che vede il ritorno alla guida del premier di lungo corso Benjamin Netanyahu e definito il più a destra di sempre della storia di Israele. “Vivo da 27 anni nella regione - afferma p. Romanelli - e gli abitanti sembrano non nutrire più fiducia in nessun esecutivo. L’opinione comune è che si mostreranno per le politiche che hanno sempre perseguito, a prescindere da destra, centro e sinistra, dato che la colonizzazione è sempre continuata”. Negli ultimi mesi attentati, attacchi e operazioni militari sono cronaca quotidiana tanto da non fare più notizia: “Una spirale di violenza - racconta il parroco - di morti e feriti con menomazioni gravi, non serve essere esperti per vedere le conseguenze terribili della guerra. Oggi è diventato per molti versi noioso parlarne, per molti il conflitto israelo-palestinese è insito nella storia ma non è vero e non è detto che debba essere sempre così in futuro. La soluzione ci sarebbe, se entrambe le parti trovassero un accordo. Aggiungendo che chi ha più potere ha, al tempo stesso, maggiori responsabilità nella ricerca della pace”. Tuttavia, con questa politica di scontro e occupazione “non si arriva da nessuna parte”.

Cristiani, Natale ed endogamia

Infine il Natale, che a Gaza “festeggiamo per primi al mondo” con la tradizionale visita del patriarca latino di Gerusalemme nell’ultima domenica di Avvento, la messa solenne e deponendo il bambino nel presepio la notte del 18 dicembre. I cristiani della Striscia, spiega il parroco, “sono persone di fede” che sperimentano un ecumenismo di fatto: la parrocchia latina è composta da 136 fedeli, ma alla funzione della mezzanotte la maggioranza sono ortodossi. Anche quest’anno si sono svolti alcuni riti tradizionali come la presentazione e la benedizione di un neonato, quest’anno lo stesso che ha impersonato Gesù bambino nel presepe vivente. Poi un battesimo, sette prime comunioni e sette cresime. “Una gioia enorme - sottolinea p. Romanelli - con momenti di festa di comunità con musica, bingo e altri giochi cui hanno partecipato più di 400 persone”. 

Al clima di festa fanno da contraltare questioni spinose, e irrisolte, che mettono in pericolo il futuro dei cristiani di Gaza. “Quest’anno - afferma p. Romanelli - i permessi di uscita per visitare parenti e familiari a Gerusalemme, Betlemme e altre zone della Palestina sono inferiori a quelli concessi nel 2021 dalle autorità israeliane, poco più di 600 a fronte dei 722 dell’anno precedente”. Un numero che aveva illuso, facendo sperare “invano” in maggiori concessioni da parte dei vertici dello Stato ebraico per un diritto, quello allo spostamento, che è vitale per la sopravvivenza stessa della comunità. “Non dimentichiamo - afferma il parroco di Gaza - che i cristiani sono 1066, forse meno, e corriamo già un pericolo reale di endogamia, con matrimoni nella stessa famiglia, gli sposi cugini in quarta, terza linea e anche seconda. Se la politica di Israele non cambia in modo radicale, e non solo per le feste, la comunità cristiana che è seme di pace e giustizia, è condannata a morire”. “I cristiani - conclude - non avanzano richieste straordinarie, ma di poter uscire e andare in Cisgiordania o altrove in modo libero”. 

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