03/04/2005, 00.00
vaticano - israele
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Il Papa, ponte d'amicizia con ebrei e Israele

di David Maria A. Jaeger

Gli ebrei di Israele lo avevano votato come il miglior Rabbino Capo. Ma l'Accordo Fondamentale da lui voluto, tarda ad essere assimilato dallo stato di Israele.

Gerusalemme (AsiaNews) – Fra tante conquiste, papa Giovanni Paolo II sarà ricordato per sempre come il supreme pontefice che ha portato la relazione fra la Chiesa e il popolo ebraico a un assolutamente nuovo livello e colui che ha stabilito relazioni diplomatiche e firmato trattati con lo stato d'Israele.

L'impatto che il Santo Padre ha avuto nella percezione che gli ebrei hanno della Chiesa, e nell'immaginazione popolare, è illustrata al meglio dai risultati di un'inchiesta pubblicati verso la fine del suo pellegrinaggio nella terra santa del 2000.

Una grande maggioranza degli israeliani intervistati hanno affermato che Giovanni Paolo II era il loro candidato favorito al posto di Rabbino capo di Israele!

Nei pochi giorni di presenza sugli schermi della televisione israeliana, questo Vicario di Cristo tutto speciale ha trasformato in tutti gli aspetti l'approccio che la maggioranza del pubblico israeliano aveva verso la Chiesa e i suoi capi.

In effetti, Giovanni Paolo II ha introdotto il pubblico israeliano dentro una nuova concezione di fede e di religione. In lui, la maggioranza secolarizzata degli israeliani ha visto qualcosa di totalmente sconosciuto: un leader religioso che non predicava il nazionalismo, l'estremismo, la xenofobia, l'occupazione violenta o il clericalismo teocratico, ma amore universale, pace, misericordia, accoglienza, uguaglianza, libertà per tutti.

Naturalmente, tempo prima, nel 1993, il papa ha firmato l'Accordo Fondamentale con lo stato d'Israele e , nel 1994, ha stabilito i pieni rapporti diplomatici con lo stato ebraico. In tal modo, 46 anni dopo la fondazione dello stato d'Israele, iniziava uno sforzo sistematico per garantire la posizione legale della Chiesa cattolica nel territorio dello stato d'Israele. La firma dei trattati e l'enorme buona volontà generata dalla presenza personale del papa, hanno messo un solido fondamento per le relazioni fra la Chiesa e Israele ed hanno suscitato una grande speranza per la futura sicurezza e l'efficacia della presenza cattolica nello stato ebraico.

Con Giovanni Paolo II ormai non più fra di noi, questo enorme lavoro iniziato, è ancora da completare.

Gli straordinari risultati raggiunti dalla sua presenza in Israele hanno ancora bisogno di essere resi permanenti. É necessario che la Chiesa sia davvero "impiantata" all'interno di un Israele di lingua ebraica: per questo è necessario un preciso soggetto ecclesiale, capace di impegno con tutti i livelli della società nel proprio linguaggio, e dall'interno della propria cultura.

La Chiesa ha ancora bisogno di mostrare al popolo ebraico in Israele che essa è "dentro" e "fra" di esso, come è normalmente presente "dentro" e "fra" ogni nazione e popolo.

A livello di leggi e istituzioni, l'Accordo Fondamentale con Israele attende ancora di essere messo in atto.

Dopo 12 anni, esso non è stato ancora ricevuto all'interno delle leggi israeliane. In più, l'Accordo Fondamentale è rimasto incompleto su alcune materie importanti, in particolare le relazioni fiscali fra la Chiesa e lo stato e la sicurezza delle proprietà religiose della Chiesa. I negoziati su questi temi stanno andando avanti anche in questo periodo della morte del pontefice. Purtroppo egli non ha avuto la soddisfazione di vedere a pieno frutto le sue iniziative.

Accettando di stabilire piene relazioni diplomatiche con lo stato d'Israele prima di risolvere alcune questioni pratiche fondamentali per la sicurezza della Chiesa cattolica in Terra Santa, Giovanni Paolo II ha agito con coraggio e profezia: egli ha compiuto un atto di fiducia nel futuro. Soprattutto, ha dato fiducia all'interlocutore dei negoziati. Ha creduto che, garantendo pieno riconoscimento e relazioni diplomatiche, il giovane stato d'Israele avrebbe risposto col pieno riconoscimento dei diritti e delle libertà acquisite nel corso di molti secoli dalla Chiesa in Terra Santa.

Al momento della morte di Giovanni Paolo II la Chiesa aspetta ancora fiduciosa una piena risposta.

Tocca ora allo stato d'Israele mostrare che il gesto pieno di fiducia del papa era ben riposto e giustificato. Per onorare la memoria di questo Grande Amico del popolo ebraico, Israele non potrebbe fare nulla di più significativo che attuare completamente l'Accordo Fondamentale, l'eredità che ci ha lasciato.

 

* David Maria A. Jaeger, israeliano, francescano, giurista; ha fatto parte della delegazione che, a nome di Giovanni Paolo II, ha negoziato l'Accordo fondamentale con lo Stato di Israele, firmato il 30 dicembre 1993.

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