14/06/2024, 08.45
KAZAKISTAN
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Il primo quinquennio di Tokaev

di Vladimir Rozanskij

Nazarbaev lo aveva scelto per la sua lealtà dimostrata nei tanti incarichi a lui affidati negli anni precedenti. Invece le sorprese sono iniziate proprio con le elezioni del 9 giugno 2019, che suscitarono proteste mai viste prime. Non c’è stato un vero ricambio nella macchina burocratica e nella casta degli oligarchi padroni del Paese, mentre continuano le repressioni politiche contro qualunque parvenza di opposizione.

Astana (AsiaNews) - Il 9 giugno si sono compiuti 5 anni dall’elezione di Kasym-Žomart Tokaev a presidente del Kazakistan, dopo aver assunto le funzioni provvisorie il 20 marzo 2019 per le dimissioni del suo predecessore, Nursultan Nazarbaev. Il 20 novembre 2022 è stato poi rieletto in una convocazione elettorale anticipata, per cercare di pacificare il Paese dopo un anno particolarmente turbolento, iniziato con le sommosse represse sanguinosamente a gennaio 2022, a cui è seguita l’invasione russa dell’Ucraina.

La sua presidenza è stata quindi molto condizionata dagli imprevedibili eventi cominciati con la pandemia di Covid-19, che hanno impedito la pacifica successione tra il “presidente eterno” e il suo delfino, portando il Kazakistan alla necessità di profonde riforme e al superamento del culto della personalità di Nazarbaev, che aveva caratterizzato tutto il trentennio post-sovietico. Gli osservatori della politica kazaca in maggioranza definiscono quindi il quinquennio di Tokaev come il “cambiamento per la conservazione”, non credendo veramente nella volontà del presidente e della classe dirigente di costruire un “nuovo Kazakistan”.

Nazarbaev lo aveva scelto per la sua lealtà dimostrata nei tanti incarichi a lui affidati negli anni precedenti, e per la sua grande carriera diplomatica che garantiva un corso stabile e prevedibile, che avrebbe permesso all’Elbasy, il “padre della patria”, di mantenere il pieno controllo anche da dietro le quinte. Invece le sorprese sono iniziate proprio con le elezioni del 9 giugno 2019, che suscitarono proteste mai viste nella storia recente del Kazakistan, con migliaia di persone arrestate nella capitale Astana, allora chiamata Nur-Sultan, e nella principale città di Almaty.

La proteste sono poi tracimate fino al Kantar, il “gennaio di sangue” del 2022 in cui morirono 238 persone, e che rischiarono di sottomettere il Paese all’invasione russa, essendo giunte le truppe da Mosca sotto la bandiera dell’alleanza Csto, rimandate indietro in tutta fretta da Tokaev. Dopo l’ultima rielezione, il presidente ha promesso che non si ricandiderà alla fine del settennato nel 2029, e rimane da verificare fino a che punto sarà in grado di evitare nuovi disordini nella seconda metà del suo mandato, non essendo di fatto risolti i tanti problemi economici, sociali e politici che hanno causato le precedenti turbolenze.

Inizialmente lo slogan della presidenza “di successione” era quella dello “Stato che ascolta”, superando la distanza tra i vertici e il popolo del periodo nazarbaeviano. Già nel 2020 era stata approvata una legge che apparentemente concedeva maggiore libertà di espressione e aggregazione, anche se di fatto nessuna manifestazione spontanea era permessa. Di fatto il governo continua a negare la maggior parte di queste iniziative “dal basso”, concedendo soltanto la possibilità di riunirsi in forme dirette e controllate “dall’alto”, e il Kazakistan non riesce a superare l’immagine di uno Stato autoritario, al di là dei proclami.

Come osserva il politologo indipendente Dosym Satpaev, “era ingenuo pensare nel 2019 che sarebbe cambiato un sistema di cui Tokaev era ed è il prodotto più tipico”, e nella convulsa fase geopolitica attuale tutto si può pensare, tranne che a vere e profonde riforme. Non c’è stato un vero ricambio nella macchina burocratica e nella casta degli oligarchi padroni del Paese, mentre continuano le repressioni politiche contro qualunque parvenza di opposizione. Il problema più grave, secondo Satpaev, è la mancanza nel Paese di istituzioni veramente forti e in grado di affrontare le grandi sfide che attendono il Kazakistan e tutta la regione centrasiatica.

Il politologo osserva che anche Tokaev è abituato alla “conduzione manuale” del potere che si basa su “quattro colonne: la famiglia di governo, gli organi della forza, una burocrazia inefficace e la casta degli oligarchi”. Rispetto a Nazarbaev è venuta meno la “famiglia”, ma per il resto nulla è cambiato; Tokaev ha scritto nei giorni scorsi su Euronews che il Kazakistan è “una potenza media” con un ruolo importante sulla scena internazionale, ma evidentemente deve ancora trovare la sua vera identità.

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