02/10/2007, 00.00
MYANMAR - ONU
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Inviato Onu incontra Than Shwe, scetticismo tra attivisti e birmani

Dopo tre giorni in Myanmar, Gambari ottiene di parlare con il generalissimo e chiede la fine della repressione contro le proteste pacifiche. Nuovo incontro con con Aung San Suu Kyi. Per il governo birmano la crisi, “ormai rientrata”, è stata fomentata da Paesi “opportunisti politici”. Ancora confusione sul bilancio delle vittime, mentre l’esercito compie raid notturni in monasteri e abitazioni e attivisti denunciano oltre 1000 dispersi.

Yangon (AsiaNews) – Dopo tre giorni di attesa, l'inviato speciale dell'Onu, Ibrahim Gambari, ha incontrato oggi il leader della giunta birmana, il generale Than Shwe, nella nuova capitale Naypyidaw, ed ha successivamente avuto un nuovo colloquio con Aung San Suu Kyi, leader dell'opposizione e premio Nobel per la pace, agli arresti domiciliari da oltre dieci anni. Non si conoscono dettagli dei colloqui, ma secondo un portavoce delle Nazioni Unite, Gambari avrebbe invitato il generalissimo a “interrompere con urgenza la repressione delle proteste pacifiche a liberare i detenuti e progredire in modo più credibile nella riforma democratica, nei diritti umani e nella riconciliazione nazionale”.

L’ex ministro nigeriano degli Esteri, è giunto il 29 settembre a Yangon in missione speciale dopo la violenza usata dal governo militare contro i monaci in piazza da settimane. Il giorno seguente ha incontrato la leader dell’opposizione, Aung San Suu Kyi, dal 2003 agli arresti domiciliari.

Dal canto suo il governo birmano ritiene del tutto rientrata la crisi ed arriva perfino ad accusare la comunità internazionale. Il ministro degli Esteri, Nyan Win, all’Assemblea Generale dell’Onu ieri a New York ha indicato i responsabili della rivolta in quei Paesi definiti "opportunisti politici". “Presentano questa campagna come una lotta per la democrazia – ha detto - decidono sanzioni che rallentano lo sviluppo economico e mantengono il popolo nella povertà".

Le forze di sicurezza, intanto, continuano a presidiare l’ex capitale Yangon al fine di impedire manifestazioni e la diffusione di notizie verso il mondo esterno. Nella notte, anche a Mandalay, si sono verificati raid nei monasteri e nella abitazioni private: religiosi buddisti, cittadini e membri della Lega nazionale per la democrazia (Nld) – secondo fonti diplomatiche – sono stati prelevati e trasferiti in luoghi sconosciuti. Osservatori a Yangon indicano nella prigione Insein, nell’Istituto tecnologico statale e nel compound del battaglione n° 7 della polizia, alcuni dei luoghi dove sarebbero ammassati i prigionieri.

Per coloro ufficialmente arrestati il destino non è migliore. La Bbc riferisce che molti monaci saranno mandati in prigioni situate nelle zone più remote nel nord del Paese. Secondo voci filogovernative, solo a Yangon sono circa 4mila i religiosi detenuti. Continua a regnare confusione, invece, sul bilancio delle vittime della repressione. Secondo stime ufficiali i morti sarebbero 10, ma attivisti per i diritti umani arrivano a parlare anche di 200 decessi e di oltre 1000 persone scomparse.  

La visita di Gambari non sembra aprire grandi speranza tra gli esponenti dell’opposizione. “Sarà una missione senza frutti – dice Zinn Linn, portavoce del governo bimano in esilio a Bangkok – se non si riuscirà a fare incontrare Than Shwe e Suu Kyi”. Mentre David Mathieson - esperto di Myanmar per Human Rights Watch – auspica che l’inviato Onu non lasci l’ex Birmania prima di avere un resoconto veritiero su “dove si trovano e in che condizioni versano i manifestanti scomparsi la settimana scorsa”.

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