08/09/2023, 13.06
ISRAELE
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Israele, la riforma della giustizia affossa gli investimenti esteri: meno 60%

Il crollo certificato da un rapporto del ministero delle Finanze. Il Paese ha registrato un calo del 34% per gli investimenti esteri diretti, tracollo delle transazioni in uscita con un meno 80% (da 307 a 56 milioni). Pesa il calo di valore di molte aziende hi-tech con base negli Usa. Fra i fattori di criticità la guerra in Ucraina, inflazione e lo scontro interno sulla giustizia.

Tel Aviv (AsiaNews) - Gli investimenti esteri in Israele sono crollati del 60% nel primo trimestre dell’anno corrente. È quanto emerge da un recente rapporto del ministero delle Finanze che certifica, una volta di più, i riflessi sull’economia della controversa riforma della giustizia voluta dal governo del premier Benjamin Netanyahu e osteggiata da una fetta consistente della popolazione. Dai dati pubblicati dal dicastero emerge che il Paese ha attirato circa 2,6 miliardi di dollari di investimenti stranieri fra gennaio e marzo 2023, con una diminuzione “sostanziale” rispetto allo stesso periodo nel 2020 e nel 2022. “Il calo - spiega una nota - si riflette sia nel numero di transazioni che negli investitori, entrambi diminuiti di un terzo rispetto agli anni passati”.

Le cifre diffuse dall’Ufficio centrale di statistica mostrano che gli investimenti esteri diretti sono calati del 34%, per un totale di 4,76 miliardi di dollari. L’entità media delle transazioni in uscita, comprese fusioni e acquisizioni, ha registrato un tracollo con una diminuzione dell’80%, per un valore complessivo di 56 milioni di dollari rispetto alla precedente media di circa 307 milioni come riporta il Times of Israel. Un fattore determinante è il calo del valore di molte aziende tecnologiche con base negli Stati Uniti. 

A pesare, da un lato, sono le diverse crisi globali come l’inflazione e l’invasione russa dell’Ucraina, e il clima di incertezza collegato. Vi è anche poi un elemento squisitamente interno: la riforma della giustizia voluta dall’attuale governo - il più a destra della storia di Israele - e criticata da buona parte dell’opinione pubblica, oltre a essere invisa alla stessa magistratura e ad altre istituzioni per una deriva autoritaria e la perdita dell’indipendenza fra poteri.

A luglio l’agenzia di rating Moody’s aveva messo in guardia da “conseguenze negative” e “rischi significativi” per l’economia in seguito all’approvazione in prima lettura del disegno di legge di riforma. Il direttore della Borsa di Tel Aviv Itay Ben-Zeev aveva invitato il governo a prendere sul serio l’avvertimento, definendo il rapporto un “campanello d'allarme”. Critiche rispedite al mittente dal governo israeliano, ma che hanno dato nuova linfa alla protesta e al malcontento di piazza: in 35 settimane di mobilitazione anti-governativa hanno manifestato complessivamente sette milioni di israeliani, come riferisce il capo della polizia Yaakov Shabtai, su un totale di 9,3 milioni di abitanti. 

Sul fronte opposto, quello dei sostenitori dell’esecutivo e della riforma, in questi giorni circa 10mila persone si sono radunate nei pressi della Knesset, il Parlamento israeliano, chiedendo di spingere sull’acceleratore per l’approvazione della riforma. Fra i più acclamati il ministro delle Finanze Bezalel Smotrich, che nel suo intervento ha attaccato la presidente della Corte suprema Esther Hayut, fra le voci critiche dell’esecutivo e oggetto degli attacchi dei filo-governativi. “Non osare invalidare le leggi fondamentali” ha avvertito Smotrich, perché “la responsabilità ricadrà su di te.” Il riferimento è all’udienza cruciale in calendario presso l’Alta corte, in cui i giudici potrebbero ricusare parti della riforma, avviando un di fatto un muro contro muro fra governo e magistrati, con il rischio di un corto circuito fra poteri dello Stato.

Infine, centinaia di giovani studenti delle scuole superiori - per la prima volta uniti all’interno di un movimento organizzato - sono pronti a sfidare il carcere rifiutandosi di rispondere alla chiamata dell’esercito per la leva obbligatoria, se non verrà ritirata la controversa riforma. 

La decisione di circa 230 studenti di boicottare il servizio militare è il primo tentativo organizzato di usare tale rifiuto come mezzo specifico di protesta contro il governo e le sue leggi. In una nota diffusa nei giorni scorsi dagli alunni del liceo Herzliya Hebrew Gymnasium di Tel Aviv, i promotori affermano: “Come giovani uomini e donne che stanno per essere arruolati nel servizio militare israeliano, diciamo ‘no’ alla dittatura in Israele e nei Territori Palestinesi Occupati. Con la presente - prosegue la nota - dichiariamo che ci rifiutiamo di entrare nell’esercito, fino a quando la democrazia non sarà assicurata a tutti coloro che vivono all'interno della giurisdizione del governo israeliano”. La dittatura che “esiste da decenni” nei Territori palestinesi, conclude il testo, ora “si sta riversando in Israele ed è diretta contro di noi”.

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