15/01/2013, 00.00
INDONESIA
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Jakarta: società civile in rivolta, contro giudici e politici che “giustificano” violenze sessuali

di Mathias Hariyadi
Un funzionario di Aceh, provincia islamica, accusa le femmine “troppo sexy” di complicità negli stupri. Per un giudice vittima e carnefice “godono” dell’atto, quindi non va comminata la pena capitale. Indignazione fra le donne. Il caso di una ragazzina di 11 anni della capitale, morta dopo uno stupro di gruppo.

Jakarta (AsiaNews) - La società civile indonesiana, uomini e donne uniti, è in rivolta per le recenti - e sconcertanti - dichiarazioni di alcuni alti funzionari, della magistratura e della pubblica amministrazione, secondo cui le donne "sono compartecipi e colpevoli" nei casi di stupro. Un magistrato, durante un concorso per l'avanzamento di carriera, ha addirittura scherzato sulle violenze sessuali; nella provincia islamica di Aceh, la sola dell'arcipelago in cui vige la Sharia, sarebbero loro stesse, con i "vestitini sexy" che "chiedono di essere brutalizzate". A destare ancora più orrore e biasimo, il recente caso di una ragazzina di 11 anni a Jakarta morta dopo essere stata vittima di una violenza sessuale di gruppo, in una vicenda per molti versi simili al dramma della ragazzina indiana di 23 anni che ha toccato le coscienze del mondo intero.

Nei giorni scorsi ha sollevato indignazione la dichiarazione di Ramli Mansur, capo della reggenza di North Aceh, provincia di Aceh, secondo cui le "donne sexy" sono "facilmente soggette a stupri", anche e soprattutto a causa di un "abbigliamento non islamico". Egli arriva persino a ipotizzare che siano loro stesse a chiedere "di essere violentate", anche "di gruppo", a causa della loro "avvenenza fisica".

Esponenti del governo indonesiano tentano di smorzare la polemica, affermando che le parole dell'amministratore sono state travisate e che in realtà, egli, intendeva ammonire le donne a un abbigliamento più consono con la morale e i precetti dell'islam, che sono legge ad Aceh.

Tuttavia, dall'arcipelago arriva un secondo e altrettanto clamoroso caso di dichiarazioni sconcertati in tema di violenza sessuale. Protagonista il giudice Daming Sunusi, il quale durante una sessione domande-risposte (nel contesto di un concorso per alcuni posti nella Corte suprema, presieduto da una commissione parlamentare) ha dichiarato che "tanto lo stupratore quanto la vittima hanno 'goduto' del rapporto sessuale. E per questo non è necessario applicare la pena di morte per i violentatori".

Ciò che desta ancor più sconcerto è stata la reazione dei parlamentari, che hanno riso alla "battuta" del magistrato e nessuno ha inteso far notare l'insensatezza e la pericolosità delle parole del giudice. Il tutto a pochi giorni dalla morte di una ragazzina di 11 anni, vittima di una violenza sessuale di gruppo perpetrata nella pubblica via a Jakarta da un gruppetto di criminali, rimasti impuniti.

La reazione della società civile, attraverso forum, blog, internet e associazioni a difesa dei diritti umani non si è fatta attendere. "Quando è troppo è troppo" afferma un abitante della capitale, che chiede "scuse pubbliche al popolo indonesiano" da parte del magistrato. Altri esprimono dubbi sulla sua "integrità fisica e morale" e sul fatto che sia in grado di svolgere la mansione di giudice in modo equo e imparziale. Ma quello che più desta indignazione è l'indifferenza e la superficialità con le quali viene trattata la materia; il tutto a dispetto delle vittime, che devono anche subire un "futuro oscuro" di sofferenze, traumi e difficoltà psichiche e mentali. 

 

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