23/09/2025, 16.06
AFGHANISTAN
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Kabul: 13enne fugge nel carrello di un aereo, l'India lo rimpatria in giornata

Un bambino afghano è arrivato a New Delhi nascondendosi nel sistema di atterraggio di un volo partito da Kabul. Le autorità indiane lo hanno immediatamente rimandato indietro. Intanto Trump vuole che gli Stati Uniti si riprendano la base aerea di Bagram, ma dai talebani è arrivato un netto rifiuto. Mentre la popolazione deve ancora fare i conti con il devastante terremoto di fine agosto - aggravato dai tagli agli aiuti umanitari - e le nuove restrizioni imposte dall'Emirato islamico.

Kabul (AsiaNews) - Mentre i media internazionali tornano a parlare di Afghanistan a causa delle dichiarazioni del presidente statunitense Donald Trump di volersi riprendere la base aerea di Bagram, un ragazzo afghano di 13 anni è arrivato in India nascondendosi nel carrello di atterraggio di un aereo. Il minore è atterrato a New Delhi la mattina del 21 settembre e ha confessato al personale di sicurezza dell’aeroporto di essere originario di Kunduz e di essere atterrato con un volo della Kam Air partito da Kabul, la capitale dell’Afghanistan. Dopo una serie di accertamenti, le autorità dell’India (che non è un Paese firmatario della Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati) hanno rimpatriato il ragazzo il giorno stesso con il volo di ritorno della stessa compagnia aerea. Una storia tragica che riassume in maniera cruda l'abbandono di chi oggi - a quattro anni dall'estate del ritorno dei talebani - tenta ancora di fuggire da Kabul.

Ma le priorità dei potenti su questo angolo dle mondo oggi sembrano ben altre. La settimana scorsa il presidente Trump, durante la sua visita nel Regno Unito, in conferenza stampa ha dichiarato che la partenza degli Stati Uniti dall'Afghanistan è stata un “disastro totale”, incolpando di ciò l’ex presidente democratico Joe Biden, ma probabilmente dimenticando di essere statao lui ad aver firmato nel 2020 l’accordo con i talebani per il ritiro delle truppe statunitensi. Il 20 settembre il presidente statunitense ha poi scritto sul social Truth che se i talebani non restituiranno Bagram a coloro che l’hanno costruita “ACCADRANNO COSE BRUTTE!!!”.

Trump sostiene quindi che la base sia stata costruita dagli americani, ma in realtà Bagram, che si trova a nord di Kabul ed è la più grande base aerea del Paese, venne costruita dai sovietici negli anni ‘50 e poi utilizzata nella guerra degli anni ‘80 contro i mujaheddin. Nel 2001, all’indomani dell’invasione statunitense, venne conquistata dalle forze speciali britanniche. Gli americani, poi, una volta insediatisi hanno semmai aggiunto piscine, centri benessere e ristoranti delle catene di fast food Burger King e un Pizza Hut. 

Spiegando le ragioni per cui Trump vorrebbe riappropriarsi della base, il presidente statunitense ha citato il fatto che “è a un'ora di distanza da dove la Cina produce le sue armi nucleari”. Sembra un riferimento a Lop Nur, un sito nello Xinjiang dove la Cina testa, ma non produce, le sue armi nucleari. In ogni caso sarebbe un’operazione che richiederebbe migliaia di soldati e di un ponte aereo sopra il Pakistan nonché la rottura dell’accordo che lo stesso Trump aveva siglato con i talebani.

E la cui risposta non si è fatta troppo attendere: Fasihuddin Fitrat, capo di stato maggiore del ministero della Difesa talebano ha dichiarato che “un accordo anche solo su un centimetro del territorio afghano non è possibile. Non ne abbiamo bisogno”. Anche il portavoce del gruppo, Zabihullah Mujahid, ha ribadito in un’intervista a Al Arabiya che il governo non accetterà “mai di cedere o barattare” parti del Paese, mentre in riferimento alle “cose brutte” che dovrebbero accadere in caso di rifiuto, Mujahid ha precisato che l’Afghanistan “ha vissuto ‘cose brutte’ per 20 anni sotto l’occupazione statunitense”. 

Mentre i vertici politici talebani e statunitensi si confrontano sul possesso della base aerea di Bagram, la popolazione afghana sta ancora affrontando le conseguenze dell’ultimo terremoto che, secondo i dati ufficiali, ha ucciso almeno 2.200 persone. Diverse organizzazioni umanitarie hanno sottolineato che quella della notte del 31 agosto è stata la prima catastrofe che il Paese si è trovato ad affrontare dopo i tagli agli aiuti internazionali, decisi ancora una volta dallo stesso Trump a gennaio di quest’anno.

Le Nazioni unite avevano dichiarato che gli aiuti umanitari internazionali erano già stati ridotti del 50% quando il sisma ha scosso le province orientali dell’Afghanistan. Gli operatori sanitari locali hanno confermato che la sospensione dei finanziamenti statunitensi hanno avuto un impatto molto concreto sulla capacità di fornire assistenza a centinaia di migliaia di sopravvissuti al terremoto, tra cui si contano anche 212mila bambini secondo l’Unicef.

I funzionari dell’ospedale regionale di Nangarhar, che forniscono servizi sanitari in cinque province nell’Est del Paese, hanno per esempio dichiarato di aver curato più di 950 feriti nelle prime 72 ore dopo il sisma. Di questi, 541 hanno dovuto essere ricoverati in un ospedale con una capacità di 650 posti, mentre altre vittime hanno dovuto essere trasferite in strutture sanitarie che erano inattive o prive dei macchinari di base per curare i feriti. Inoltre, sempre a causa del disimpegno finanziario degli USA, le Nazioni unite hanno dovuto ridurre la flotta di elicotteri per il soccorso aereo, lasciando l’onere dei trasporti alle autorità talebane.

A tutto ciò nei giorni scorsi si è aggiunta la decisione del leader supremo Hibatullah Akhundzada di bloccare le connessioni internet in diverse province del Paese al fine di “prevenire l’immoralità”. Per molte ragazze Internet era l’unico strumento rimasto per provare a ricevere un’istruzione dopo i divieti imposti dai talebani alle donne negli ultimi quattro anni. Negli stessi giorni Akhundzada ha vietato in tutte le università dell’Afghanistan i libri scritti da autrici donne. Ora molti temono che i talebani possano ad un certo punto impedire del tutto l’accesso a internet ai cittadini. 

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