La lunga storia della parola 'Papa' in cinese
In occasione del conclave il sito cattolico cinese ha ricostruito la genesi storica dell'espressione "jiaohuang", utilizzata per indicare il pontefice. A introdurla fu il grande missionario Giulio Aleni, nel suo trattato di geografia "Registro delle terre straniere" del 1623. Recentemente, però, la comunità cattolica sta proponendo anche il termine "jiaozong", più in linea con il ruolo spirituale del successore di Pietro.
Milano (AsiaNews/Agenzie) - Il sito cattolico cinese Xinde - tra le tante suo cronache dedicate al conclave e all'elezione di Leone XIV - ha pubblicato un articolo interessante che ricostruisce la genesi storica della traduzione cinese della parola “papa”, riflettendo sull'adeguatezza del termine jiaohuang, attualmente utilizzato per indicare il vescovo di Roma.
La parola jiaohuang, composta dai caratteri jiao (dottrina) e huang (imperatore), fu introdotta da Giulio Aleni nel trattato di geografia “Registro delle terre straniere” (Zhifang Waiji), pubblicato dal missionario nel 1623. Prima di allora erano state individuate altre traduzioni per il termine “papa”, alcune delle quali prese in prestito dalla religione buddhista, come “Grande monaco” (Da seng) o “Re del Dharma” (Fa wang).
Giunto alla corte Ming nel 1583, il noto gesuita Matteo Ricci, optò invece per l’espressione jiaohua wang, letteralmente “re della dottrina”, con la quale si sottolineava la funzione di guida spirituale del papa, in linea con il concetto confuciano di “educare il mondo”. Nella scelta di Ricci era soprattutto chiara l’intenzione di evitare l’uso della parola huang, un tempo riservata esclusivamente all’imperatore, preferendo ad essa il titolo di wang, “re, sovrano”, destinata generalmente ai monarchi di stati vassalli. Adattandosi alla cultura e alle usanze del Paese ospitante, il missionario maceratese cercava di prevenire eventuali fratture con il potere centrale, sperando di favorire così l’opera di evangelizzazione.
La traduzione adottata da Ricci comparve per la prima volta nella sua “Mappa completa dei diecimila Paesi del mondo” (Kunyu wanguo quantu), del 1602, nella quale si legge che “il re (jiaohua wang) di questo luogo non si sposa e pratica la religione cattolica. Nell’Impero romano tutta l’Europa segue questa regola”.
Da allora l’espressione jiaohua wang ebbe molta fortuna, al punto da ricorrere nella maggior parte dei successivi documenti cattolici e nei libri di preghiera in lingua cinese, come le “Ore Sante” (Sheng jiao ri ke), le quali restarono in circolazione fino alla fondazione della Repubblica di Cina (1912-1949). Lo stesso Aleni la predilesse in una sua opera del 1642, intitolata “Classico dei Quattro Caratteri della Santa Religione del Signore del Cielo” (Tianzhu shengjiao sizi jingwen).
La traduzione di Ricci restò in auge anche nel corso della dinastia Qing (1644-1912), periodo durante il quale si consumò una profonda frattura tra la Chiesa cattolica e il Regno di mezzo. Fu soprattutto l'imperatore Kangxi (r. 1661-1722) a insistere affinché il titolo di huang fosse riservato esclusivamente al “Figlio del Cielo” e a nessun altro monarca, compreso il papa.
Solo con la fine delle guerre dell’oppio e il conseguente declino della dinastia Qing, la parola huang smise di essere di dominio esclusivo dell’imperatore. La traduzione jiaohuang, proposta nel 1623 da Giulio Aleni, poté così tornare a designare il vicario di Cristo, diventando gradualmente di uso comune nella società cinese fino ai giorni nostri.
Più di recente, tuttavia, la comunità cattolica e quella accademica cinese hanno iniziato a riflettere sull’idoneità di tale termine, ritenuto ormai obsoleto, suggerendo di sostituirlo con jiaozong. Composto dai caratteri jiao (dottrina) e zong (gran maestro), quest’ultimo infatti evidenzia più il ruolo spirituale che quello secolare del pontefice, in linea con le posizioni dei Patti lateranensi.
Secondo la rivista cattolica Xinde, per giunta, la traduzione jiaozong si adattava perfettamente al nome del recentemente scomparso Papa Francesco: di fronte alla sua umiltà e semplicità l’appellativo huang sarebbe stato inappropriato.
Nonostante gli sforzi compiuti dalla comunità accademica nazionale e dai media vicini alla Commissione statale per gli affari religiosi per promuovere la diffusione della traduzione jiaozong, essa non ha comunque ancora soppiantato del tutto il termine jiaohuang. E diversamente da quanto auspicato da Xinde, neanche l’elezione del nuovo pontefice Leone XIV sembra aver invertito questo trend, visto che molti siti di informazione cinesi continuano a preferire quest’ultima traduzione.