31/01/2024, 08.37
KIRGHIZISTAN
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La protesta delle donne nell’islam kirghiso

di Vladimir Rozanskij

Al parlamento di Biškek una deputata ha denunciato il fatto che nell'amministrazione religiosa non c'è alcuna rappresentenza femminile, suscitando un vivace dibattito nel Paese. Negli ultimi 20 anni è cresciuta in Kirghizistan una generazione di donne con una buona istruzione religiosa, che vogliono essere protagoniste nella comunità islamica e nella società

Biškek (AsiaNews) - Al Žogorku Keneš, il parlamento di Biškek, la deputata Dinara Ašimova ha denunciato il fatto che nell’Amministrazione religiosa dei musulmani del Kirghizistan (Dumk) non sia presente neanche una donna, suscitando una grande discussione nel Paese. I muftì hanno risposto che in realtà ci sono donne attive nella struttura direttiva dell’islam nazionale, che organizzano l’apertura di centri di formazione specialmente dedicati alle donne, ma sulla presenza di donne nell’apparato centrale del muftiat non ci sono informazioni ufficiali.

Il parlamento ha incaricato la commissione statale per gli affari religiosi di controllare le questioni relative all’istruzione delle donne nelle madrase, e la collaborazione alle attività delle istituzioni religiose. Secondo il portavoce del Dumk, Maksat Atabaev, “in Kirghizistan ci sono 109 madrase, e oltre la metà sono per le donne, dove ricevono soltanto le conoscenze teologiche, senza specializzazioni che permettano loro di lavorare”.

Le donne che concludono gli studi religiosi si dedicano subito alla famiglia, prendendo marito e generando figli, ma spesso matrimoni affrettati causano divorzi e violenze domestiche. Il Dumk non ha personale che si occupi di questi problemi, e le donne non hanno nessuno a cui rivolgersi, come ha fatto notare Ašimova nel suo intervento. Atabaev informa peraltro che “negli ultimi 10 anni abbiamo aperto 51 centri per le donne e i giovani, con attività allo scopo di prevenire tendenze religiose negative, di rafforzare le conoscenze dei valori familiari e dell’educazione dei figli, e anche per affrontare le crisi per evitare i divorzi”.

Il portavoce spiega che “non è corretto distinguere l’amministrazione centrale da quelle locali”, senza chiarire le percentuali di donne che collaborano nella capitale o nei centri regionali, “ci sono molte collaboratrici in tante strutture”. All’insistenza delle domande sul numero delle donne impegnate, Atabaev ha risposto che “la donna non è carne da vendere”, provocando ulteriori reazioni da parte dell’opinione pubblica.

La leader dell’associazione femminile musulmana Mutakalim, Žamal Frontbek, osserva che al Dumk è stato aperto il settore dedicato alle donne già nel 2013, ma nessuna donna è stata coinvolta nelle sue attività. Solo negli uffici regionali ne sono state assunte alcune con stipendi molto bassi, e attualmente le donne che collaborano con essi sono tutte volontarie, mentre nella sede di Biškek “probabilmente l’unica donna che lavora è quella delle pulizie”, commenta l’attivista, mentre “noi vorremmo che le donne che hanno domande e problemi ne possano parlare con altre donne”.

Frontbek porta l’esempio della Turchia, dove negli 83 muftiat c’è sempre una donna come vice-muftì, e ci sono donne docenti e responsabili anche nell’ufficio della fatwa, soprattutto per valutare i tanti casi di violenza domestica. “Noi non siamo l’Afghanistan o il Pakistan, dove le donne vengono completamente ignorate”, aggiunge Žamal, osservando che nell’islam non ci sono regole che impediscano alle donne di lavorare nelle istituzioni amministrative religiose.

Negli ultimi 20 anni è cresciuta in Kirghizistan una generazione di donne che hanno ricevuto una buona istruzione religiosa, in grado di essere protagoniste nella vita della comunità musulmana e della società. La direttrice del Mutakalim sostiene che le donne dovrebbero partecipare anche al kurultaj musulmano, l’assemblea dove si elegge il muftì, come delegate con diritto di voto, mentre ad oggi possono essere presenti soltanto in qualità di ospiti. L’associazione che rappresenta venne formata proprio dopo un suo intervento a tale riunione nel 2017, e dal 2021 il Consiglio degli Ulema discute della possibilità di concedere alle donne un ruolo attivo nel kurultaj, ma finora le risposte sono state negative.

L’unica concessione alle donne è stata finora la promessa di aprire corsi speciali per lavorare nelle strutture amministrative musulmane, ma finora non sono stati ancora attivati. L’islam femminile kirghiso cresce sempre più, insistono le attiviste, perché “parliamo della religione di tutto il nostro popolo, non solo di quella dei suoi membri di sesso maschile”.

 

Foto: Flickr /MarK Reidy

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