28/08/2009, 00.00
SRI LANKA
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Le suore dello Sri Lanka nei campi profughi tra i rifugiati tamil

di Melani Manel Perera
Una ventina di religiose hanno lavorato nei centri e negli ospedali attorno a Vavuniya. Suor Fatima Nayaki, cha ha guidato il gruppo, racconta: “L’unico desiderio di ogni rifugiato è di poter iniziare una nuova vita con dignità e libertà”.
Colombo (AsiaNews) - Per tre mesi hanno aiutato i rifugiati di guerra raccolti nei campi profughi e negli ospedali del nord dello Sri Lanka. Sono una ventina di suore, di diverse congregazioni, che in maggio, tramite la Caritas Sedec, avevano risposto alla richiesta del governo di assistere le cosiddette Internally displaced persons (IDPs).
 
I dati ufficiali riportano che, sino a metà agosto, i 19 campi presenti nel solo distretto di Vavuniya, ospitavano più di 79 mila famiglie per un totale di oltre 246 mila persone. Le suore hanno vissuto con loro ed ora raccontano quanto hanno visto. All’inizio non avevano il permesso di entrare nei campi e negli ospedali e solo dopo diverso tempo hanno potuto iniziare la loro opera di assistenza non senza restrizioni e divieti.
 
Suor Jayangika, della congregazione delle Carmelitane apostoliche, ha lavorato nell’ospedale di Poovarasankulam. “Le autorità sanitarie ci hanno permesso di curare solo i malati di varicella. C’erano diverse donne incinta. Dieci di loro avevano perso i mariti e possedevano solo i vestiti che avevano indosso”. Sr. Jayangika aggiunge: “Avevano sempre gli occhi colmi di lacrime e a noi veniva da urlare vedendole in quelle condizioni. Non potevamo farlo davanti a loro, ma ogni volta ci saliva un grido dentro che facevamo fatica a trattenere”.
 
Suor Fatima Nayaki, cha ha guidato il gruppo delle religiose, racconta ad AsiaNews: “L’unico desiderio di ogni rifugiato è di poter iniziare una nuova vita con dignità e libertà. Non vogliono ricordare quanto è successo loro negli ultimi mesi e lottano con il loro passato. Quando ci vedevano ci chiedevano di pregare per loro e di benedirli”.
 
Suor Francisca, della congregazione della Sacra Famiglia, afferma: “I profughi aspettano che qualcuno arrivi per aiutarli, porti loro cibo, vestiti. Hanno solo riso, dhal, sale e qualche noce di cocco”. Nei centri di accoglienza temporanea allestiti dal governo per ospitare i profughi nel passaggio dai campi ai villaggi di origine, ci sono negozi e mercati. Ma sr. Francisca spiega che “i banchi sono pieni di frutta troppo costosa e i rifugiati non hanno soldi per comprarla. Alcuni raccolgono qualche spicciolo recuperando acqua potabile, legna da ardere o preparando il pesce per altri profughi, ma non hanno mai più di 10 o 15 rupie e li usano per comprare cibo per i bambini”.
 
Molti dei campi in cui le suore hanno prestato assistenza sorgono lungo la strada. “Tutti possono vederli da fuori - dice sr. Francisca - sono centinaia di capanne variopinte. Ma la vita di chi le abita non è per nulla colorata. Sono persone che piangono i loro figli morti o scomparsi”.
 
Nei giorni del grande pellegrinaggio al santuario della Madonna di Madhu le strade si sono riempite di macchine e camion. Racconta la religiosa: “Vedere passare i pellegrini per molti è stato doloroso. Li abbiamo consolati spiegando che Madhu Amma [la Madre, ndr] conosceva i loro problemi e che era con loro. Il 15 agosto poi alcuni sacerdoti della diocesi di Mannar non sono andati al santuario e hanno celebrare la messa dell’Assunta nei campi con i rifugiati”.
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