Libano: Saints-Coeurs, scuola di speranza e riconciliazione oltre la guerra
A 5 km dal confine con Israele, l’istituto fondato sotto l’Impero ottomano nel 1881 per ragazze cristiane lotta per la sopravvivenza. P. Youssef Nasr: le scuole cattoliche accolgono circa 190mila studenti, il 20% del totale e il 30% del privato. I non cristiani sono il 30%, anche se in alcune aree il dato supera il 60%. La sfida economica per la sopravvivenza e le tensioni etniche post-guerra.
Beirut (AsiaNews) - Come ogni anno, poco prima dell’inizio dell’anno scolastico che prende il via ufficialmente il 23 settembre, il segretariato delle scuole cattoliche presieduto da p. Youssef Nasr ha organizzato un convegno durante il quale sottolinea le sfide dell'insegnamento cattolico in Libano. E, di riflesso, dell’insegnamento privato nel suo complesso. Il tema di quest’anno era: “Come garantire agli studenti un’istruzione più umanizzante nell’era del digitale e dell’intelligenza artificiale?”. Presente al convegno, la ministra libanese dell’Istruzione Rima Karamé ha osservato che “dopo aver accumulato ripetute crisi negli ultimi sei anni”, il Paese dei cedri “è ancora in modalità di sopravvivenza”.
Fornire agli studenti un’istruzione adeguata e guidarli attraverso il digitale e l’Intelligenza artificiale richiede “ingenti investimenti finanziari” per prevedere “una totale riorganizzazione del sistema educativo (compresa la scuola pubblica)”, ha affermato la ministra. Al tempo stesso si è rivolta alle scuole privante, invitandole a collaborare col dicastero per avviare il progetto.
Secondo gli ultimi dati disponibili, su oltre 1,1 milioni di studenti in Libano circa il 43% frequenta la scuola pubblica, il rimanente è iscritto a scuole private a pagamento (anch’esse il 43%) e gratuite (l’11%), senza contare una percentuale di ragazzi e ragazze che frequentano le scuole Unrwa. Per quanto riguarda gli istituti cattolici, essi “accolgono complessivamente 190mila studenti, pari al 20% degli totale dei libanesi e al 30% degli studenti delle scuole private”, rivela p. Youssef Nasr. La percentuale di non cristiani che frequentano le scuole cattoliche è di circa il 30%, ma si tratta solo di una media, precisa. In alcune regioni, questa percentuale può superare il 60%.
Lontano dal centro
Lontano dal centro e da questo approccio ponderato, a 5 chilometri dal confine con Israele, L’école des Saint-Coeurs fondata sotto l’impero ottomano nel 1881 per le ragazze cristiane della regione, lotta per la sopravvivenza. La scuola contava, in condizioni normali, più di mille alunni maschi e femmine, di cui il 50% musulmani, per lo più sciiti. Questi ultimi provenivano da 32 villaggi diversi, da Naqoura a Marjeyoun. Alcuni facevano un viaggio di circa un’ora per arrivare a scuola.
“Quello che cercano da noi” racconta ad AsiaNews suor Maya Beaino, direttrice dell’istituto, sommersa dalle visite dei genitori in questa settimana che precede l’inizio dell’anno scolastico, “è l’apertura, il rispetto di tutti senza distinzioni di cultura, religione o razza”. Al tempo stesso, vi è anche il fattore non secondario di potere disporre del “miglior livello di istruzione possibile”.
L’école des Saint-Coeurs era di gran lunga il più grande datore di lavoro di Aïn Ebel, con 65 insegnanti. Questo numero è stato ridotto in base al dato complessivo relativo agli iscritti. Infatti, a causa della guerra, il numero di studenti sembra essere diminuito della metà quest’anno, nonostante l’affluenza. L’esercito israeliano ha infatti ridotto in macerie una serie di 27 villaggi di confine situati all’interno di una fascia larga 5 km, vietando a chiunque di avvicinarsi o di intraprendere lavori di riparazione. Gli abitanti di questo villaggio, dove è vietata la ricostruzione, si sono trasferiti altrove e, a giudicare dall’evolversi della situazione, non torneranno tanto presto.
“Se la scuola chiude - sottolinea suor Maya - è chiaro: gli insegnanti se ne vanno, seguiti da tutte le loro famiglie e da quelle degli iscritti. È per questo che, durante la guerra e sotto i bombardamenti, non abbiamo lasciato il villaggio né chiuso la scuola”. “Quando è scoppiata la guerra - prosegue la religiosa - e i nostri studenti si sono spostati verso nord, abbiamo immediatamente attivato le lezioni su piattaforme interattive come Team. Le lezioni erano online, ma gli esami si svolgevano in presenza. Andavamo periodicamente a incontrare i nostri studenti in alcune scuole delle regioni in cui si erano rifugiati, per garantire voti autentici”.
Ferite da curare
“Durante il periodo più duro del conflitto, sei dei nostri studenti sono stati uccisi” racconta con tristezza suor Maya, che aggiunge: “La maggior parte dei nostri studenti sciiti ha perso tra i 10 e i 15 membri della propria famiglia. Il 50% dei nostri studenti sciiti non ha più una casa, né terreni, nulla... e non può tornare nei propri villaggi. Molti studenti cristiani hanno visto le loro case danneggiate. Le ferite sono numerose e devono essere curate”. È il caso, in particolare, del villaggio cristiano di Alma Chaab, che è stato completamente distrutto e i cui abitanti non sono rientrati.
Dopo il cessate il fuoco del novembre 2024, quando siamo tornati a scuola, vi era molta tensione tra cristiani e sciiti, riprende suor Maya. Ognuno rimproverava qualcosa all’altro. Erano comparsi persino slogan anti-sciiti su alcuni muri della scuola. Allora li ho riuniti e con l’aiuto di Ong, psicologi e assistenti sociali abbiamo creato degli spazi dove potevano liberare le loro emozioni e riflettere. A queste iniziative hanno partecipato due movimenti: il gruppo Fratelli Tutti, composto da giovani cristiani e musulmani delle scuole superiori, e il gruppo “Living Peace”, legato ai Focolari, che si è impegnato a pregare per la pace ogni giorno alle 12.
Futuro incerto
Il futuro è problematico, ammette in buona sostanza la religiosa, e la sfida economico-finanziaria è fra le priorità, dopo quella relativa alla sicurezza. Il fatto è che la guerra rende talvolta pericoloso circolare sulle strade e alcuni abbandonano le scuola anche per questo motivo. Dal punto di vista finanziario, come si possono aiutare gli istituti educativi di confine a sopravvivere, ben sapendo che queste scuole sono l’unica garanzia affinché la popolazione non se ne vada? La sfida finanziaria comprende, ovviamente, anche gli stipendi degli insegnanti. Senza un compenso dignitoso, pure questi ultimi saranno tentati di andarsene.
Il segretario generale delle scuole cattoliche è consapevole di questa necessità. Riconosce che, dal 2019, gli insegnanti del settore privato e pubblico hanno visto i loro stipendi sciogliersi come neve al sole, poiché gli adeguamenti salariali concessi dai dirigenti delle scuole private, o ottenuti con scioperi, sono insufficienti per consentire loro di tornare al livello pre-crisi. Tuttavia, egli ritiene che la risoluzione di questa questione essenziale per il futuro non possa avvenire a discapito dei genitori… o degli stessi insegnanti.
Infine, egli precisa che gli aiuti più consistenti ricevuti a questo proposito provengono da l’Œuvre d’Orient e da Aiuto alla Chiesa che soffre (Acs). Suor Maya, dal canto suo, sogna un gemellaggio con scuole europee “non tanto o non solo per l’aiuto finanziario, di cui abbiamo certo bisogno, ma soprattutto per lo scambio sul piano umano”. “Sogno che ci siano giovani - conclude la religiosa, guardando al futuro - che vengono dall’Italia e dall’Europa per vivere con i nostri giovani, per condividere la nostra esperienza, per nutrirsi di speranza”.
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