10/09/2025, 11.28
VATICANO
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Papa all'udienza: 'Gridare è un atto profondo di umanità'

Da San Pietro, davanti a 35mila fedeli sotto la pioggia, Prevost ha riflettuto sul grido di Cristo in croce: "Non disperazione, ma sincerità, verità portata al limite". Esso, quando non è trattenuto, è "speranza che non si rassegna". Sostituisce le parole: "soglia di nuova luce" anche nell'ora estrema.

Città del Vaticano (AsiaNews) - “Il Vangelo conferisce al nostro grido un valore immenso, ricordandoci che può essere invocazione, protesta, desiderio, consegna”. Stamattina, papa Leone XIV, all’udienza generale del mercoledì svolta in piazza San Pietro nonostante la pioggia, ha parlato dell’assenza del silenzio nel “vertice” della vita di Gesù, la sua morte in croce. “Un grido non è mai inutile, se nasce dall’amore. E non è mai ignorato, se è consegnato a Dio”, ha commentato. Esso può divenire, anche “quando giunge l’ora della prova estrema”, “soglia di una nuova luce”. 

Prevost, davanti a circa 35mila pellegrini provenienti da ogni parte del mondo, ha continuato il ciclo di catechesi per il Giubileo, dal titolo “Gesù Cristo nostra speranza”. La riflessione condivisa dopo le letture nelle diverse lingue è sul tema La morte. «Gesù, dando un forte grido, spirò» (Mc 15,37). Nell’ultimo istante della vita terrena di Cristo è importante notare “un particolare molto prezioso”: egli grida. “Quel grido racchiude tutto: dolore, abbandono, fede, offerta”, ha spiegato. Segue uno straziante senso di abbandono, caratterizzato da “silenzio”, “assenza” e “abisso”. 

Il grido è il “segno ultimo di una vita che si consegna”, nel momento più doloroso, dopo una vita vissuta “in intima comunione con il Padre”. “Non si tratta di una crisi di fede, ma dell’ultima tappa di un amore che si dona fino in fondo - ha spiegato Leone XIV -. Il grido di Gesù non è disperazione, ma sincerità, verità portata al limite, fiducia che resiste anche quando tutto tace”. È proprio in quel momento che Dio si rende “visibile”. “In quell’uomo straziato […] si manifesta l’amore più grande. È lì che possiamo riconoscere un Dio che non resta distante, ma attraversa fino in fondo il nostro dolore”, ha aggiunto il papa. 

Di ciò si accorge il centurione: la sua è “la prima professione di fede dopo la morte di Gesù”. Quell’ultimo grido non è dissolto, scomparso, irripetibile. “Ha toccato un cuore”, ha detto Prevost. E a sua volta proviene da un cuore “pieno”, che gridando compie “un atto profondo di umanità”. Il rischio è di pensare al grido - che tramite la voce esprime “ciò che non riusciamo a dire a parole” - come una necessità da sopprimere. Il Vangelo, invece, attribuendogli un “valore immenso”, lo inquadra come “la forma estrema della preghiera”. Nel gridare c’è “una speranza che non si rassegna”, ha aggiunto papa Leone XIV, continuando la riflessione.

“Gesù non ha gridato contro il Padre, ma verso di Lui. Anche nel silenzio, era convinto che il Padre era lì. E così ci ha mostrato che la nostra speranza può gridare, persino quando tutto sembra perduto”. Gridare è, quindi, un “gesto spirituale”. “Non per ferire, ma per affidarci. Non per urlare contro qualcuno, ma per aprire il cuore”, ha continuato. Un gesto di cui “non avere paura”, che può aprire la strada alla salvezza. “La voce sofferta della nostra umanità, unita alla voce di Cristo, può diventare sorgente di speranza per noi e per chi ci sta accanto”, ha concluso il vescovo di Roma. 

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