13/04/2010, 00.00
CINA
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Pechino nega la scarcerazione a Hu Jia, forse malato di cancro

Le autorità carcerarie hanno contattato la madre del dissidente cinese per comunicare che le analisi non rivelano la presenza di tumore al fegato, ma non presentano le prove scritte. Nel frattempo, la polizia dell’Hubei chiude in un ospedale psichiatrico un uomo “colpevole” di aver denunciato il corrotto regime locale.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – Il governo cinese ha deciso di negare la libertà condizionata per motivi di salute a Hu Jia, il dissidente anti Aids in carcere per sovversione che, secondo la famiglia, soffre di cancro al fegato. Lo ha confermato la madre di Hu, che ieri ha ricevuto una telefonata da parte del direttore dell’ospedale della prigione. Secondo la moglie del dissidente, Zeng Jinyan, “Jia è già stato riportato in cella, nonostante la cirrosi che lo fa soffrire”.
 
La domanda di scarcerazione era stata avanzata alle autorità penitenziarie di Pechino la scorsa settimana sempre dalla moglie del dissidente, preoccupata che la cirrosi di cui soffre il marito possa provocare un tumore al fegato. Dopo la telefonata del direttore, la Zeng ha chiesto di poter avere i risultati scritti delle analisi fatte al marito.
 
Hu Jia, 36 anni, è noto nel Paese per le sue battaglie a favore dei malati di Aids. Ha sempre combattuto per uno sviluppo democratico della Cina, per un’assoluta libertà religiosa nel Paese e per una revisione della situazione del Tibet, che “dovrebbe essere libero di decidere del suo futuro”. Con il tempo è diventato anche una sorta di punto centrale della dissidenza cinese: ha raccolto articoli, preparato ricorsi legali e presentato alla comunità internazionale l’opera di tutti gli altri oppositori non violenti del regime.
 
Ha collaborato con i media stranieri e con le ambasciate, fornendo materiale sulle violazioni ai diritti umani commesse dal Partito comunista. L’ultima condanna - a tre anni e mezzo di prigione – gli è stata comminata per aver scritto insieme all’avvocato democratico Teng Biao una lettera aperta nella quale si criticava l’uso delle Olimpiadi di Pechino del 2008 per la propaganda politica del Partito Comunista Cinese, il partito unico che governa il Paese.
 
La richiesta di scarcerazione era stata appoggiata da diversi gruppi internazionali per i diritti umani e da alcuni leader politici, che tuttavia Pechino ha ignorato. In un’intervista rilasciata all’inizio del 2008, lo stesso Hu ha spiegato da dove derivano i suoi problemi fisici: “Ho la cirrosi perché ho combattuto contro la polizia negli ultimi cinque anni: i cinesi credono che la rabbia danneggi il fegato, e ci sono stati troppo sangue e combattimenti”.
 
In ogni caso, il regime cinese non sembra voler cambiare i propri metodi riguardo la libertà di espressione. La polizia dell’Hubei, infatti, ha rinchiuso in un ospedale psichiatrico Peng Baoquan, che aveva denunciato gli scorretti comportamenti dei dirigenti comunisti della contea di Shiyan. Gli agenti lo hanno arrestato lo scorso 9 aprile, mentre fotografava un gruppo di circa 20 manifestanti che volevano giustizia davanti a un hotel, dove si stava svolgendo un incontro del Partito locale.
 
La pratica di far sparire i dissidenti o i manifestanti in quelle che vengono chiamate “prigioni nere” – alberghi clandestini o ospedali psichiatrici – è divenuta sempre più frequente negli ultimi anni. In questo modo, infatti, la polizia può eliminare il problema senza doversi preoccupare di trovare prove o fare indagini contro i sospettati.
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