09/06/2025, 11.42
INDIA-STATI UNITI
Invia ad un amico

Perché sono gli studenti indiani i più colpiti dal blocco di Trump

di Lisa Bongiovanni

Sono oltre 300mila i giovani provenienti dal subcontinente che studiano negli Stati Uniti, un numero quasi doppio rispetto a dieci anni fa. A spingerli verso gli Usa le carenze di un sistema universitatio ancora poco competitivo anche perché eccessivamente centralizzato. Così in controtendenza con il loro governo (e per evitare la concorrenza dell'Europa) alcuni atenei Usa stanno avviando nuove partnership per aprire campus in India. 

Milano (AsiaNews/Agenzie) - In controtendenza rispetto alle dichiarazioni e alle intenzioni dellamministrazione Trump, alcune università americane stanno rafforzando la collaborazione con le corrispondenti istituzioni asiatiche. In questi giorni, la Rutgers University ha ampliato la partnership con l'Indian Institute of Science, sottolineando limportanza della ricerca congiunta. Inoltre, lIllinois Tech – università con sede a Chicago – ha confermato lapertura di un campus a Mumbai, che dal 2026 offrirà corsi di laurea triennale e magistrale in ingegneria, informatica ed economia.

Questo tipo di contromisure sono l’indice di quanto la questione del blocco dei visti agli studenti sia una questione fortemente sentita in India. Se le nuove direttive della Casa Bianca verranno approvate, saranno infatti gli studenti indiani quelli maggiormente penalizzati. Secondo un report di Open Doors, dal biennio 2022-23 a quello 2023-24 la percentuale di studenti indiani a cui è stato concesso lOpt - un permesso che consente agli studenti internazionali iscritti nelle università statunitensi di lavorare temporaneamente in un campo legato al proprio percorso di studi - è aumentata del 43%. Un dato che riflette la crescente inclusione - e fiducia - degli studenti indiani nelle opportunità di lavoro negli Stati Uniti.

Oggi sono oltre 300mila gli studenti indiani iscritti nelle università americane, un numero quasi raddoppiato rispetto a dieci anni fa, superando quello cinese. Nel 2024, circa 1,5 milioni di studenti indiani hanno scelto di studiare allestero, nonostante in patria vi siano oltre 58.000 istituti di istruzione superiore - di cui più di 2.000 inaugurati solo tra il 2021 e il 2022. LIndia vanta infatti il secondo sistema universitario più grande al mondo, ma nessuno di questi istituti gode di un buon posizionamento internazionale. Nessuna università indiana figura tra le prime 100 a livello globale, nonostante molte menti indiane ricoprano ruoli chiave nel panorama mondiale: dallamministratore delegato di Microsoft a quello di Alphabet, fino al premio Nobel per leconomia Abhijit Banerjee, professore al MIT.

Se gli studenti indiani non potranno più accedere alle università statunitensi, altre destinazioni dovranno farsi carico di oltre 300mila tra i più brillanti studenti del Paese. Probabilmente, la maggior parte di questi studenti continuerà a guardare ad occidente, muovendosi soprattutto verso Canada, Europa, Gran Bretagna o Australia. Le università asiatiche, pur in forte ascesa, sembrano restare fuori dalle loro preferenze. Infatti, la presenza di studenti indiani in Paesi come Giappone, Corea del sud e Malaysia, è molto più bassa rispetto a quella cinese, evidenziando una diversa geografia delle preferenze. Per esempio in Giappone, nel 2024, a fronte di 115.495 studenti cinesi, quelli indiani erano solo 1.330. In Corea del Sud gli studenti cinesi erano 60.356 mentre quelli indiani solo 1.328. Diverso è invece il quadro nei Paesi anglofoni, dove la presenza indiana è più marcata, con la Germania che si conferma la meta europea più ambita. Ad influire è l’ampia scelta di corsi in lingua inglese presente in questi Paesi, ma anche la familiarità culturale e la scarsa notorietà delle università asiatiche a New Delhi.

L’esclusione degli studenti indiani dalle università americane potrebbero favorire il “rientro dei cervelli”, ma l’ipotesi è poco probabile perché il basso ranking delle università indiane ha radici molto profonde e richiederebbe una serie di interventi strutturali. I fondi, innanzitutto, sono insufficienti: l’India, come la Cina, investe sì circa il 4% del Pil nell’istruzione, ma lo stesso dato ha un significato diverso nei due Paesi considerando che il Pil pro capite cinese è circa cinque volte maggiore rispetto a quello indiano. La carenza di fondi penalizza la ricerca accademica e di conseguenza impedisce qualsiasi possibilità di sviluppo del settore.

Inoltre, non essendoci risorse, gli insegnanti sono pochi e sottopagati, rendendo difficile attrarre in patria i talenti formati allestero.

Inoltre, le università indiane sono eccessivamente centralizzate e burocratizzate, presentandosi come una macchina elefantiaca non in grado di reggere il passo dell’innovazione. Negli ultimi 40 anni il controllo delle università è passato sempre più dagli accademici alla burocrazia statale e poiché il settore privato investe poco nella ricerca, il finanziamento pubblico è cruciale. Più forte è il controllo statale, minore è lautonomia della ricerca.

In India, i programmi di studio e le attività accademiche sono sottoposti alla supervisione dellUniversity Grants Commission, con rigide direttive imposte dal governo. Per questi motivi, lIndia si è classificata al 156° posto su 179 nellIndice della Libertà Accademica pubblicato da Scholars at Risk.

TAGs
Invia ad un amico
Visualizza per la stampa
CLOSE X
Vedi anche
Cina e India si affacciano nell’elenco delle migliori università del mondo
02/09/2020 15:42
Famiglia cinese avrebbe pagato 6,5 milioni di dollari per far ammettere la figlia alla Stanford University
03/05/2019 09:43
Alla maratona di Boston sono finiti i sogni di Dorothy Lu Lingzi
18/04/2013
Università della California: difenderemo i nostri studenti dalit
20/01/2022 14:06
Università cattolica americana non vende prodotti “made in China”
17/05/2011


Iscriviti alle newsletter

Iscriviti alle newsletter di Asia News o modifica le tue preferenze

ISCRIVITI ORA
“L’Asia: ecco il nostro comune compito per il terzo millennio!” - Giovanni Paolo II, da “Alzatevi, andiamo”